giovedì 20 dicembre 2012

BACCANALI

I Baccanali, un caso clamoroso nella Roma antica
Nel 186 a.C. con il “senatus consultus de Bacchanalibus”, si proibirono definitivamente i famosi “Bacchanalia”, celebrazioni rituali che si svolgevano per onorare il dio Bacco, vietando altresì che per il futuro nessuno si riunisse più in simili associazioni. Questo drastico provvedimento era stato la conseguenza di un’accurata inchiesta scaturita dallo scandalo che aveva coinvolto molti personaggi in vista della comunità romana. La vicenda si era delineata in tutti i suoi turpi contorni grazie all’intervento di Ebuzia, una signora residente sull’Aventino il cui nipote, suo malgrado, stava per essere iniziato ai Baccanali. Publio Ebuzio era figlio di Duronia che rimasta vedova quando lui era piccolo, si era risposata con Tito Sempronio Rutilio. L’uomo grazie alla tutela del figlio adottivo si era permesso di sperperare tutto il denaro che possedeva e ora, lui alla vigilia del compimento della maggiore età, temeva che il ragazzo rivendicasse i propri possedimenti. Cercò quindi di trovare un espediente per poterlo ricattare e coinvolse la moglie nel suo losco progetto. Duronia, infatti, convinse il figlio, che, per assolvere al voto fatto affinché guarisse da una malattia, doveva essere iniziato ai riti bacchici. La fase preliminare prevedeva che il giovane vivesse in castità per dieci giorni precedenti la cerimonia. Ebuzio raccontò la faccenda a Ispala Facezia, una libera meretrice a cui era legato da tempo e che nei momenti di difficoltà l’aveva sempre aiutato, dato che la sua famiglia si era dimostrata molto parsimoniosa nei suoi confronti. La donna che conosceva i rituali delle baccanti, capì immediatamente le intenzioni del patrigno. Una volta che il giovane avesse partecipato alle orrende nefandezze che si raccontava capitassero in quella setta, la sua reputazione sarebbe stata per sempre compromessa e non avrebbe più potuto rivendicare le legittime proprietà. Era noto infatti che nelle notti durante le quali avvenivano i riti misterici, rigorosamente segreti, i partecipanti venissero obbligati a compiere atrocità e delitti, ed unirsi promiscuamente, a usare veleno e torture per estorcere denaro e creare beneficiari di testamenti. Il tutto capitava sotto l’effetto di sostanze allucinogene e vino al ritmo e sfrenato assordante di timpani e cembali. Negli ultimi tempi la situazione si era aggravata poiché i sacerdoti tendevano a introdurre nella setta solo giovani con meno di vent’anni, più malleabili a subire e commettere le suddette atrocità. Al ritorno Ebuzio si rifiutò categoricamente di partecipare ai Baccanali e per tutta risposta fu cacciato di casa. Trovò ospitalità dalla zia Ebuzia che lo convinse a raccontare la vicenda al console Postumio.
Il console avviò le indagini e convocò Ispala. Ci volle parecchio prima di riuscire a convincere la donna a fornire tutte le spiegazioni del caso poiché da piccola, ancora schiava, aveva partecipato ai riti insieme alla sua padrona per cui sapeva molte cose in proposito ma temeva la vendetta di coloro che aderivano alla setta. Venne fuori così che anticamente questo rituale di origine straniera era riservato alle sole donne. Le matrone venivano iniziate nel corso di cerimonie organizzate tre volte all’anno, alla luce del giorno. In seguito la sacerdotessa campana Paculla Annia aveva stabilito arbitrariamente di ammettere anche gli uomini ai riti, che si dovevano tenere solo nelle ore notturne e per cinque volte all’anno.
Quando il quadro fu chiaro e completo il console riferì i risultati delle indagini al senato che non poté esimersi  dal prendere provvedimenti estesi non solo a Roma ma all’Italia intera. I crimini e gli adepti erano cresciuti nell’ultimo periodo in maniera esponenziale e le forze dell’ordine allarmate non potevano ignorare che il fenomeno rischiava di minare seriamente l’autorità del governo. All’indomani dei primi provvedimenti fioccarono le denunce che misero allo scoperto un giro di persone il cui numero superava i settemila seguaci. La campagna denigratoria nei confronti delle religioni straniere ebbe così valide fondamenta, andando a colpire soprattutto determinate fazioni politiche. La pena minore per chi aveva solo giuramento, senza cadere in azioni disonorevoli, prevedeva solo la costrizione in catene, agli altri spettava la morte. Alla fine del caso il numero di coloro che avevano perso la vita era superiore a quelli in gattabuia e tra loro si contavano soprattutto donne. Ispala ed Ebuzio dal canto loro vennero protetti con rigide precauzioni e i loro servigi compensati con soldi dello stato per una cifra di 100 mila assi di bronzo. Non era forse un caso  che, in seguito alle loro denunce, fra i condannati a morte comparissero i nomi degli esponenti di quella classe di “negotiatores” della plebe adagiata che tanto si erano arricchiti a discapito dell’aristocrazia patrizia…

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