mercoledì 15 agosto 2012

SANTA MARIA BERTILLA

La storia dei Santi italiani che hanno vissuto nell’epoca del frate di Pietrelcina

Santa Maria Bertilla assisteva i bisognosi come Padre Pio

Durante la Prima guerra mondiale, quando suonava l’allarme non andava nel rifugio ma restava accanto ai suoi malati
«Il Signore mi dà la forza»
Questa immaginetta raffigura santa Maria Bertilla (1888-1922), che visse all’epoca di Padre Pio e, come lui, dedicò la vita ai bisognosi. Santa Maria Bertilla fu vicina agli infermi durante la Prima guerra mondiale e a chi le chiedeva se non avesse paura rispondeva: «Il Signore mi dà la forza che la paura non la sento neppure».
Negli anni in cui Padre Pio maturava in sé l’intenso percorso spirituale, altri personaggi in odore di santità vivevano e svolgevano la loro missione pastorale in Italia seguiti da schiere di migliaia di fedeli, come poi sarebbe accaduto a lui. Tra costoro c’e santa Maria Bertilla, al secolo Anna Francesca Boscardin, che nacque un anno dopo Padre Pio, il 6 ottobre 1888, e morì di tumore, il 20 ottobre 1922, a soli 34 anni, dopo aver dedicato tutta sé stessa ai bisognosi e a diffondere tra essi la parola di Dio.
Mentre Padre Pio entrava in convento per diventare sacerdote, lei, che viveva nel Veneto, si prodigava a curare gli infermi e i feriti della Grande Guerra. Per questo fu proclamata Santa  l’11 maggio 1961. per ricordare il suo cammino di Fede, così simile a quello di Padre Pio, abbiamo deciso di ripercorrere la sua storia. Eccola raccontat qui di seguito.

Anna Fratesca nacque un anno dopo Padre Pio, il 6 ottobre 1888, quando era re Umberto I di Savoia e papa Leone XIII, a Goia frazione di Brendola, un paese in provincia di Vicenza, in una povera casa di contadini, proprio come il frate francescano. La sua infanzia non fu facile. Soprattutto per colpa del padre Angelo Boscardin, un uomo che, quando era in preda all’alcol, si trasformava, insultando e picchiando la moglie Maria Teresa, e talvolta anche lei, che crebbe per questo motivo timida e impacciata. Spesso era Anna Francesca che difendeva la madre dalla violenza del padre. «Non fare del male alla mia mamma», gridava inutilmente tra i singhiozzi Annetta, come la chiamavano tutti in paese, tentando di proteggerla, lei era piccola e mingherlina. Fu proprio per scappare, almeno per qualche ora, dalle ire di quell’uomo abbruttito dal bere che un giorno sua madre la portò via. «Fuggimmo a piedi verso Vicenza e passammo la notte sotto i portici del Santuario di Monte Berico, a piangere davanti alla statua della Madonna», raccontò in seguito Annetta. «Fu proprio durante quella fuga che, pregando Maria Vergine, decisi di farmi suora». Per diventarlo, però, bisognava studiare, ma la piccola Annetta non era portata per la scuola, tanto da ripetere due volte, cosa strana a quei tempi, la prima elementare. In classe la consideravano un po’ tarda di mente e i bambini cominciarono a prenderla in giro per la sua goffaggine e a gridare, quando la vedevano in paese: «Guarda, sta passando il povero oco». Annetta abbassava la testa, rossa di vergogna, ma non osava replicare a quel soprannome che le rimase appiccicato per sempre: “Per buona parte della mia vita sono stata considerata una persona di poco valore, ignorante, e lasciata sempre all’ultimo posto, ma forse proprio per questo sono stata presecelta dal Signore”, scriveva nel suo diario. A 15 anni chiese al parroco di farla entrare in convento. «Ma tu non sai fare niente, figliola, le suore non saprebbero che farsene di te», le disse il sacerdote. Poi, impietositosi da quella ragazza timida che nella sua giovane vita era riuscita soltanto a imparare il catechismo, le domandò: «Dimmi sai almeno pelare le patate?». «Oh si, questo si, padre», gli rispose Annetta rincuorata. «Va bene, può bastare. Andrai a Venezia nel convento delle Suore Maestre di Santa Dorotea», le comunicò. Pazza di felicità, la ragazza si presentò al monastero: «Da oggi ti chiamerai Suor Maria Bertilla, il diminutivo di Berta che significa splendente», le disse ma madre superiora. Era il 1903: lo stesso anno in cui Padre Pio cominciò il noviziato come frate cappuccino.

Le fecero fare anche la sguattera

 Suor Maria Bertilla iniziò così il proprio percorso monacale con un unico desiderio: vivere in santità. Andava dalla madre superiora e le diceva: «Io non sono buona a nulla. Sono un “povero oco”. Mi insegni lei come devo fare perché voglio diventare santa». Si adattò a svolgere i lavori più umili, accettò le osservazioni e le ingiustizie con il cuore sempre pronto al perdono: «Quando si è fatto il possibile, anche se riceviamo umiliazioni e rimproveri non importa», ripeteva spesso. «Noi dobbiamo fare tutto per amore di Dio». Poi, nel 1907, a 19 anni, fu trasferita all’ospedale di Treviso, proprio durante gli scioperi per le rivendicazioni sindacali e la riduzione dell’orario di lavoro contro il governo presieduto da Giovanni Giolitti che investirono pure l’ospedale veneto. Per qualche mese, le fecero fare la sguattera in cucina; dopo, liberatosi il posto da inserviente, nel reparto dei bambini affetti da patologie contagiose, senza troppa convinzione la superiora decise di affidarle questi piccoli malati. Fu una rivelazione: quella suora timida e buona a nulla mostrò una dedizione sorprendente per quei bambini, colpiti soprattutto dalla difterite, che avevano bisogno di un’assistenza continua ed erano sottoposti a interventi delicati alla gola per farli respirare meglio. Suor Maria Bertilla aveva trovato la sua strada: fare da mamma a quegli sfortunati fanciulli che, lontano da casa, non avevano che lei. Stava al loro capezzale per giorni e notti, senza dormire, infondeva coraggio ai giovani medici spaesati di fronte a tanta sofferenza e sapeva persino trovare parole di conforto per tutti, anche quei per genitori ai quali il destino e una malattia più forte delle medicine avevano portato via i figli. E quando la madre superiora le raccomandava: «Sorella, abbiate un po’ di cura di voi», suor Maria Bertilla si schermiva: «Soltanto così mi pare di servire il Signore». Una missione che proseguì  per quindici anni, anche  quando nel 1915, scoppiata la Prima guerra mondiale, ogni volta che suonava l’allarme dei bombardamenti, invece di precipitarsi nel rifugio restava con eroismo accanto ai suoi malati, affetti soprattutto da tubercolosi, a pregare e a scrivere sul suo diario: “In questo tempo di guerra e di terrore eccomi Signore a fare la tua volontà, sotto qualunque aspetto si presenti, di vita o di morte”.

«Non ha paura Suor Bertilla?», le domandavano. «Non state in pensiero per me. Il Signore mi dà tanta forza che la paura non la sento neppure».

Tutti apprezzavano il suo altruismo

Durante quegli anni la santità di questa umile suora si manifestò con gesti, parole, decisioni cariche di amore profondo, proprio come quelle  di una mamma verso i figli. Tutti iniziarono finalmente ad apprezzare il suo spirito caritatevole e il suo altruismo.

Ma un tumore cominciò a devastare il corpo di suo Bertilla. La operarono una prima volta, però dopo qualche tempo il brutto male si ripresentò, più aggressivo che mai. E quando un giorno di ottobre del 1922, il medico che la visitò si accorse che non si reggeva più in piedi, decise di operarla d’urgenza per estirpare il cancro che aveva invaso la cavità addominale. 

Era troppo tardi: a chi intorno al suo capezzale piangeva vedendola soffrire, suo Maria Bertilla sussurrava, cercando di consolarlo: «Non dovete piangere. Se vogliamo vedere Gesù, bisogna morire. Io sono contenta». Si spense il 20 ottobre 1922, a 34 anni, e chi la vestì per la sepoltura si accorse che, cucito nella tonaca, conservava il vecchio catechismo di quando era bambina. «Una Santa». Erano tanti ora a riconoscerlo, tanti ad ammettere che avevano sbagliato a giudicarla “un povero oco”.

Commosse anche papa Giovanni

Pochi anni dopo, venne avviato il processo di canonizzazione e fu suo padre, proprio colui che l’aveva terrorizzata da bambina, a raccontare come sua figlia sin da piccola sapeva convertire persino un cuore duro come il suo: «La vedevo inginocchiata in un angolo della casa con le mani giunte in preghiera e mi veniva come un groppo in gola», raccontò con le lacrime agli occhi Angelo Boscardin. «All’improvviso , la visione della mia bambina mi faceva sentire buono e una forza interiore mi spingeva a dire il “Padre nostro”».l’11 maggio 1961, papa Giovanni XXIII, proclamandola Santa e fissando il 20 ottobre la sua ricorrenza, che viene festeggiata soprattutto nel santuario di Vicenza a lei dedicato, parlò così della sua santità: «La irradiazione di suor Bertilla si allargò nelle corsie degli ospedali, a contato dei i malati delle epidemie più terribili, dove fu sempre presente: a consolare e a calmare: pronta e ordinata, esperta e silenziosa a tal punto da fare dire anche ai distratti che a guidarla ci fosse sempre il Signore».

1 commento:

  1. Sono molto colpita dallo spirito forte nella fede,ma allo stesso tempo pervaso da umiltà

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