lunedì 15 ottobre 2012

ANNUNCIAZIONE

Il figlio venuto dal cielo
Di ritorno dalla fontana, Maria camminava svelta ma accorta sul sentiero sassoso con la grande brocca d’acqua fresca in equilibrio sulla testa. Pochi passi più avanti le sue due amiche, insieme alle quali era uscita di corsa all’annuncio del funzionario delle acque che segnalava a gran voce la fine dell’irrigazione dei campi e l’apertura serale della fontana pubblica. Ogni giorno, tutte le donne di Nazareth non aspettavano altro che quel segnale per andare a fare scorta d’acqua, e l’occasione di incontrarsi e intrecciare un cicaleccio festoso. Maria era in attesa e si vedeva, essendo al quarto mese di gravidanza. Anche lei quasi non sapeva. Erano passati quattro mesi da quella notte che avrebbe cambiato la sua vita: un sogno, un’apparizione e le parole «il Signore è con te». E quell’angelo inginocchiato davanti così candido, devoto, poi, la rivelazione: concepirà e partorirà un figlio, lei che non conosce uomo e il neonato, e il neonato al quale darà il nome di Gesù, sarà il figlio di Dio.
Seguirono giorni confusi tra dubbi e certezze. A quel punto in Palestina il fidanzamento era un vero e proprio atto legale che prevedeva la celebrazione del matrimonio entro un anno al massimo se la donna era vergine ed entro un mese se era una vedova.
Una sera Maria si appartò con Giuseppe e gli raccontò quanto era accaduto: confessò i dubbi, la paura d’essere stata preselta per dare alla luce il Messia. Al suo Giuseppe si era promessa perché l’amava. Quando si erano incontrati, lei aveva accettato quel giovane falegname laborioso, di animo buono e pieno di tenere premure. Lui ascoltò in silenzio la preghiera di Maria: poteva non crederle, ripudiarla condannandola a morte per lapidazione. Chiese tempo, voleva riflettere. E passò giorni, e soprattutto notti, ripetendosi le parole di Maria, ponendosi domande che non avevano risposte. Lunghe ore di veglia, seduto fuori dell’uscio a guardar le stelle. E finalmente una mattina, all’improvviso, quasi avesse fatto un sogno, respinse dubbi, paure e sospetti: credeva in Maria, l’avrebbe sposata.
All’inizio la loro vita matrimoniale era lieta, serena.
Giuseppe lavorava nella sua bottega di falegname, lei, Maria, si prodigava nella nuova casa di sposa. Presto, però, la loro tranquillità fu turbata dalla notizia che il comandante romano della Palestina, Sulpicio Quirino, aveva ordinato il censimento della popolazione. Secondo la regola giudaica i cittadini avevano l’obbligo di farsi censire nel luogo d’origine del loro casato e quindi Giuseppe e Maria che appartenevano alla famiglia di Davide, dovevano recarsi a Betlemme, una cittadina non lontano da Gerusalemme. Si trattava di affrontare un viaggio lungo e disagevole, quattro giorni a dorso d’asino per coprire i centocinquanta chilometri tra Nazareth, situata nella Galilea settentrionale e Betlemme in Giudea. Il disagio metteva a rischio la vita stessa di Maria giunta quasi al termine della gravidanza. Ma non c’era altra scelta e, un mattino all’alba, Giuseppe e Maria caricarono l’asino di provviste, coperte e panni per il nascituro e imboccarono la via per Betlemme. Le strade brulicavano di gente, i luoghi di sosta completamente occupati; si dormiva all’addiaccio. E a Betlemme sarebbe stato ancora peggio. Maria contava le ore e Giuseppe girava per ogni dove alla ricerca di un posto libero e finalmente scovò, fuori città, una caverna adattata a stalla.
«Qui saremo al riparo», disse Giuseppe, «anche se è piena di ragnatele e di letame, ma c’è solo un mucchio di paglia e un po’ di fieno per le bestie. Ma Maria gli disse che non c’era di meglio e dunque andava bene così.  
Scese la notte e Giuseppe accese un fuoco. Maria sta sdraiata, assorta ad avvertire i piccoli segnali del miracolo che sta accadendo nel suo corpo. Avverte i movimenti del bambino che tra poco darà alla luce. Ma non ha paura; per ogni donna il parto è dolore e grazia, prova estrema e conquista di sé. Ma in più delle altre, in lei c’è la certezza che nascerà un maschio sano e forte, con il destino già scritto di Salvatore dell’Umanità. Le fitte seno sempre più dolorose e le concedono brevi respiri e un flebile lamento. Ed ecco compiersi il prodigio: il minuscolo, fragile, tenero essere umano piange nel suo primo respiro. Maria lo avvolge in panni caldi e sorride guardando il suo primo figlio che un giorno sarà riconosciuto come mandato da Dio e la renderà madre per l’eternità su tutta la Terra.

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