Cavour, lo statista, l'uomo politico abile e spregiudicato che ci ha dato una Patria, il vero artefice dell'unità d'Italia. La sua storia umana e politica, una storia che si snoda attraverso le tappe fondamentali di un'Italia finalmente unita.
“Io non sono un Ministro qualunque!” Così Cavour risponde orgogliosamente a Vittorio Emanuele II che lo critica per la disinvoltura con ha ceduto Nizza e Savoia alla Francia. Se la frase non è vera è comunque verosimile e certamente in sintonia con il carattere dell’uomo. Ma chi è, realmente, Cavour? Un genio della politica animato da un grande ideale, il protagonista del Risorgimento, l’artefice dell’Unità d’Italia secondo i ricordi scolastici? Oppure, più semplicemente un uomo privo di scrupoli e di un piano organico che confida nel suo “genio dell’intrigo spinto fino all’eroismo”, come sostengono non pochi europei suoi contemporanei? Probabilmente l’uno e l’altro. L’uomo con le sue grandezze e le sue miserie, con le sue geniali intuizioni e le sue piccole meschinerie, con le sue astuzie e la sua grandiosa, stupefacente abilità.
La misura dell’opera compiuta da Cavour è data dal fatto stesso che egli muore a soli cinquant’anni. Nella vita del conte Camillo Benso di Cavour, la realizzazione più notevole è l’aver presieduto all’unificazione dell’Italia. Nel marzo 1861, appena qualche settimana prima della sua morte, viene infatti ufficialmente proclamata l’esistenza di un nuovo regno unitario, dopo molti secoli in cui la penisola italiana è divisa in numerosi Stati separati. Raccogliere insieme queste repubbliche, ducati e regni indipendenti è qualcosa che pochissimi prima del 1850 ritengono possibile.
Il principale interesse della biografia di Cavour consiste dunque nel decisivo contributo alla storia politica ed economica del suo tempo. Cavour è infatti un vero e proprio virtuoso delle molte arti che insieme formano un politico di successo. Più di qualunque altro, è lui a sviluppare il sistema parlamentare in Italia, tenendo a battesimo le tradizioni fondamentali che da allora in poi hanno retto il comportamento politico prima a Torino e poi a Roma. Durante i suoi ultimi anni è costretto a respingere l’assalto di nemici interni sia sulla destra che sulla sinistra. Non solo, ma sopravvive a numerosi tentativi del re Vittorio Emanuele di trovare un Presidente del Consiglio più docile ed obbediente. Alla sua destra stanno quei conservatori che vogliono mantenere l’Italia divisa; alla sua sinistra sono Garibaldi e Mazzini, la cui visione di una nazione unita è molto più radicale ed idealistica di quella cavouriana. Per riuscire nell’impresa contro questi avversari, Cavour deve seguire un sentiero arduo, e talvolta tortuoso, appoggiandosi alternativamente sulla destra e sulla sinistra, così da neutralizzarle entrambe, realizzando infine quell’operazione supremamente difficile e quasi paradossale che è una rivoluzione conservatrice.
L’abilità di Cavour tuttavia si può valutare tracciando non soltanto i successi ma anche le difficoltà, le incertezze, gli sbagli, nonché ciò che lui stesso chiama “la parte meno bella dell’opera”. Ma la capacità di porre rimedio agli errori e di sfruttare a proprio vantaggio condizioni avverse è un ingrediente essenziale della sua suprema arte di statista.
“Io non sono un Ministro qualunque!” Così Cavour risponde orgogliosamente a Vittorio Emanuele II che lo critica per la disinvoltura con ha ceduto Nizza e Savoia alla Francia. Se la frase non è vera è comunque verosimile e certamente in sintonia con il carattere dell’uomo. Ma chi è, realmente, Cavour? Un genio della politica animato da un grande ideale, il protagonista del Risorgimento, l’artefice dell’Unità d’Italia secondo i ricordi scolastici? Oppure, più semplicemente un uomo privo di scrupoli e di un piano organico che confida nel suo “genio dell’intrigo spinto fino all’eroismo”, come sostengono non pochi europei suoi contemporanei? Probabilmente l’uno e l’altro. L’uomo con le sue grandezze e le sue miserie, con le sue geniali intuizioni e le sue piccole meschinerie, con le sue astuzie e la sua grandiosa, stupefacente abilità.
La misura dell’opera compiuta da Cavour è data dal fatto stesso che egli muore a soli cinquant’anni. Nella vita del conte Camillo Benso di Cavour, la realizzazione più notevole è l’aver presieduto all’unificazione dell’Italia. Nel marzo 1861, appena qualche settimana prima della sua morte, viene infatti ufficialmente proclamata l’esistenza di un nuovo regno unitario, dopo molti secoli in cui la penisola italiana è divisa in numerosi Stati separati. Raccogliere insieme queste repubbliche, ducati e regni indipendenti è qualcosa che pochissimi prima del 1850 ritengono possibile.
Il principale interesse della biografia di Cavour consiste dunque nel decisivo contributo alla storia politica ed economica del suo tempo. Cavour è infatti un vero e proprio virtuoso delle molte arti che insieme formano un politico di successo. Più di qualunque altro, è lui a sviluppare il sistema parlamentare in Italia, tenendo a battesimo le tradizioni fondamentali che da allora in poi hanno retto il comportamento politico prima a Torino e poi a Roma. Durante i suoi ultimi anni è costretto a respingere l’assalto di nemici interni sia sulla destra che sulla sinistra. Non solo, ma sopravvive a numerosi tentativi del re Vittorio Emanuele di trovare un Presidente del Consiglio più docile ed obbediente. Alla sua destra stanno quei conservatori che vogliono mantenere l’Italia divisa; alla sua sinistra sono Garibaldi e Mazzini, la cui visione di una nazione unita è molto più radicale ed idealistica di quella cavouriana. Per riuscire nell’impresa contro questi avversari, Cavour deve seguire un sentiero arduo, e talvolta tortuoso, appoggiandosi alternativamente sulla destra e sulla sinistra, così da neutralizzarle entrambe, realizzando infine quell’operazione supremamente difficile e quasi paradossale che è una rivoluzione conservatrice.
L’abilità di Cavour tuttavia si può valutare tracciando non soltanto i successi ma anche le difficoltà, le incertezze, gli sbagli, nonché ciò che lui stesso chiama “la parte meno bella dell’opera”. Ma la capacità di porre rimedio agli errori e di sfruttare a proprio vantaggio condizioni avverse è un ingrediente essenziale della sua suprema arte di statista.
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