mercoledì 17 ottobre 2012

CARLO PISACANE

Tra ideali e avventure così visse Pisacane
Tutta la sua esistenza è stata rocambolesca.
Dall’arresto in Francia (era fuggito con la moglie di un altro)
Alla breve parentesi nella Legione Straniera.
Poi ancora a Londra, seguito dalla sua Enrichetta,
fino all’avventura di Sapri, conclusasi tragicamente.
Carlo Pisacane in un ritratto dell’epoca. In un giugno di 150 anni fa cominciava l’avventura di Sapri.
Sopra, il faro di Sapri dove si svolge una ricostruzione storica dello sbarco di Pisacane e dei suoi uomini sulle spiegge di Sapri, realizzata per il “Festival della Memoria collettiva”.
E tratta la moglie con le maniere più rovinose, con le parole più indecenti.
È Dionisio Lazzari che riserva un trattamento così triviale alla sua sposa,
Enrichetta Di Lorenzo, la quale gli ha dato tre figli, la sua giovinezza per venir ricambiata in modi tanto arroganti, come scrive Carlo Pisacane per altro cugino del Lazzari per parte di madre.

Carlo e Enrichetta si conoscono, si frequentano spesso, ma da tempo il loro rapporto è mutato in una struggente passione, un sentimento compromettente vista l’iracondia caratteriale dell’anziano marito di lei e l’ardore temerario della giovinezza di Carlo, napoletano, del 1818, quindi in tempo per esaltarsi all’eco delle imprese di Garibaldi in America Latina.
Enrichetta, 1820, coltiva fremiti di autodeterminazione divorando i libri di George Sand, là dove la scrittrice francese incita a quell’amore che solo sia in grado di legittimare tutto. Non ci vuol molto a indovinare quali siano i motivi che armano la mano di un sicario che riduce quasi in fin di vita Carlo Pisacane la notte del 12 ottobre 1846. La politica? Le idee già libertarie di quel tenentino borbonico?
O la gelosia. Il torvo rancore che cova il marito la cui donna nel giorno suo onomastico , il 15 luglio, ha detto, sgravandosi d’un peso morale insopportabile, di amare il suo Carlo?
Al termine di una lunga convalescenza Carlo ed Enrichetta decidono di fuggire a bordo di un postale francese in un viaggio rocambolesco, braccati come sono dalla polizia di mezza Europa con l’accusa d’adulterio. Sotto falso nome giungono a Londra dove il dentista Gabriele Rossetti padre del celebre pittore preraffaelita  Dante Gabriel, li aiuterà a fuggire di nuovo verso la Francia. Qui il governo di Luigi Filippo, in attesa dell’annunciata querela per adulterio del Lazzari, li incarcera per poi liberarli dato il tardare della denuncia. Nel frattempo era nata e morta Carolina, la loro prima bimba. In questa girandola di avvenimenti, nella vana ricerca di un’occupazione, Pisacane accetterà di partire per l’Algeria come miliziano della Legione Straniera. Dura poco se é a Milano nel 1848, festante per le cruciali Cinque Giornate, poi a Roma difensore della città, nello Stato Maggiore in sostituzione di Luciano Manara con Enrichetta infaticabile crocerossina, poi all’ingresso dei francesi in città, di nuovo in viaggio verso un malinconico esilio.
Il radicalismo perdente di Pisacane si infiamma a Londra con le idee del socialismo utopico mentre scrive un suo saggio su quella guerra combattuta in Italia tra il
1848-49.
l’esistenza è sempre durissima, i due amanti, irriducibili, vivono di lezioni private,  spostandosi spesso con la nuova nata, la piccola Silvia e sono a Genova quando la volontà di riscossa di alcuni movimenti anti borbonici in meridione, appaiono agli occhi del fervente insurrezionalista, indicativi di una nuova sete di giustizia e di libertà dall’oppressione di Re Ferdinando.
Enrichetta invece non condivide la visione ottimistica, di Carlo e del suo entourage repubblicano tanto che, espulsa da Genova con la bambina a causa delle attività sedizione del marito. Da Torino scongiurò più volte i membri del Comitato d’insurrezione perché non corressero il rischio mortale d’una delusione e di una sconfitta per lei cortissime.
È il 1847, raccolta una banda armata che avrebbe invaso l’isola di Ponza per sbarcare poi nella provincia di Principato Citeriore, il Comitato contava di veder insorgere in una sorta di effetto domino, Firenze, Roma, Napoli. In una quarantina sono sul piroscafo Cagliari in servizio tra Genova e Tunisi, al posto della mercanzia casse cole di armi, il cuore carico d’ansia fino all’approdo a Ponza nel pomeriggio del 27 giugno sotto un caldo canicolare che costringe i tranquilli isolani nella frescura delle loro case. L’azione è rapida ed efficace contro la guarnigione portuale, la Torre, gli uffici comunali e poi l’apertura dei cancelli del carcere in cui languivano circa 2.000 condannati che dilagarono per l’isola in azioni spesso sconsiderate o in violenze gratuite. Se gli isolan erano rimasti annichiliti dagli episodi di quella giornata, quell’esplosione di anarchia li ritrasse ancor più nel proprio piccolo alveo rassicurante da cui spiarono gli incendi, i comizi dell’oratoria concitata, alcune bestialità.
Pochi i detenuti che seguirono Pisacane verso Sapri, il vero epicentro della sua missione. La perla del Golfo di Policastro è ancora oggi discosta regina dell’incuria della modernità, quella sera del 28 settembre dovuto impinguare le fila dei seguaci di Carlo di almeno mille patrioti armati provenienti dal Comitato partenopeo, ma sentì solo le grida dei suoi fedelissimi inneggiare alla Repubblica in marcia verso il comune di Torraca, peraltro in festa per il suo San Pietro.
Poi a Padula, a Sanza, dove ingaggiò scontri e duelli contro le truppe del Governo napoletano, due battaglioni di Cacciatori inviati per sedare quell’incendio. Che non divampò mai perché i primi a ritirarsi da quel tumultuoso e improvviso incitamento alla rivolta e alla libertà erano proprio gli abitanti dei vari paesi del Cilento, pronti anzi, anche con armi approssimative, a dar man forte il 2 luglio ai militari, in un sanguinoso combattimento finale in cui Carlo Pisacane non fu tra i primi 29 arrestati, ma tra i primi caduti tra le spighe, l’erba e gli alberi di quell’incanto estivo.
Aveva avuto ragione Enrichetta: il popolo meridionale di quelle isole e terre profonde e incantate non era pronto per un proditorio riscatto. Aveva preferito il retaggio di un atavico quotidiano, ad un’avventura improbabile in compagnia di sedicenti alleati che, brandendo il tricolore, urlavano proclami incendiando più i beni e le cose che i loro cuori.
I due eroi di quella straordinaria storia d’amore e di miseria, di ardore come la lealtà, sconfitti, finirono nelle pagine scandalistiche dei giornali del tempo, la piccola Silvia crescerà sotto l’ala protettrice di Luigi Marcantini autore della celeberrima Spigolatrice di quella Sapri dove, quei trecento giovani e forti, i sette condannati a morte furono tutti graziati, beffa crudele, della cinica astuzia di Re Ferdinando.

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