Nell’Amazzonia profonda, tra gli
Uomini Panda
Sono appena in 260 e per 10.000 anni sono stati uno dei segreti meglio conservati del pianete. Gli Zo’è cominciano solo ora a conoscere la civiltà degli altri. Compresi i film violenti di Hollywood. E così rischiano di ammalarsi per sempre
Super protetti
La tribù degli Zo’è vive all’interno della riserva creata nel 2001 dal Funai (Fundacào nacional do indio), a un’ora e mezzo di volo da Santarem
Tutti portano il simbolo tribale, il “Puturo”, un cono di legno infilato tra gengive tra gengive e labbro inferiore dopo la caduta dei denti da latte
In alto un momento di riposo, a fianco bambini al cinema.
L’assalto dei Garimpeiros
Gli Zo’è sono stati avvistati per la prima volta 20 anni fa dai deforestatori.
I missionari evangelici hanno cercato invano di evangelizzarli.
Poi sono arrivati i garimpeiros (i cercatori d’oro) e i coltivatori di soia pronti a tutto pur di cacciarli dalla loro terra.
Nel 2001 è stata istituita la riserva per proteggerli anche dalle malattie
Se non sono impegnati a cercare cibo, riposano sulle amache e giocano.
Ora è arrivato il cinema, ma non tutto seguono il film sino alla fine
Vita semplice, senza noia o stress
Scene di vita quotidiana tra gli Zo’è.
Non vivono in villaggi ma in accampamenti costituiti da semplici tettoie, sparsi per la riserva, e si spostano in piccoli gruppi
Tessa Gelisio con due bimbi della tribù
Appena il piccolo aereo tocca la pista di terra battuta, minuscola ferita nel manto della foresta vergine, mi ritrovo circondata da donne, uomini e bambini, completamente nudi, che mi osservano curiosi. Il cuore batte forte, non so come pormi nei loro confronti, sono una giornalista? Una visitatrice? Una semplice “guardona”? ci pensano loro a rompere il ghiaccio: “Auhanne”, “Come ti chiami?”, traduce per me Angelo Bonelli, mio compagno di viaggio improvvisatosi interprete. Iniziano a toccarmi per vedere se sono come loro, mi prendono la borsa e iniziano a frugarci dentro. Il loro sorriso riesce a bloccare l’istinto di ritrarmi, di prendere la “Mia” borsa con i “Miei” oggetti e proteggermi. Gli Zo’è non conoscono la proprietà privata, tantomeno il furto.
La loro è una curiosità naturale, primordiale voglia di conoscere il diverso. Dopo un volo di un’ora e trenta da Santarem, sono sbarcata su un altro pianeta. Un viaggio nel cuore dell’Amazzonia più selvaggia, un viaggio di 10.000 anni indietro nel tempo quando tutti gli uomini vivevano seminormali, di caccia e raccolta come tuttora fanno gli Z’è, una delle ultime popolazioni isolate del mondo. Oggi vivono all’interno di una riserva creata nel 2001 dal Funai (Fundacao Nacional do Indio), l’organismo del governo brasiliano che si occupa della tutela degli indios, istituita per proteggerli dall’invasione dell’Amazzonia , spinta dalla fame delle risorse. Le riserve non si creano solo per proteggere gli animali, nel terzo millennio le riserve servono anche a proteggere gli uomini dai propri simili. L’Amazzonia è un vero e proprio Far West dove la deforestazione si è già portata via un quinto del polmone verde del Paese e continua la propria corsa distruggendo ed estinguendo piante, animali e uomini. La maggior parte degli indios si sono estinti dopo essere venuti a contatto con le società “al passo con i tempi”. Dal tempo dei conquistadores , lo sterminio silenzioso e l’assimilazione delle culture indigene ci ha lasciato solo 38 tribù. Tra i più fortunati, perché scoperti recentemente e quindi super protetti “come panda”, ci sono circa 260 Zo’è. Incontrarli è quasi impossibile. Per proteggerli il Funai regola rigidamente l’accesso alla riserva che viene concesso a una decina di persone all’anno. Grazie as Angelo Bonelli dei Verdi Italiani, da tempo collaboratore del Funai, ho avuto questo privilegio potendo così vivere con loro tre, indimenticabili giorni. Prima di accedere, però, ho dovuto superare una meticolosa serie di test medici per essere certi che non portassi con me batteri o virus: una epidemia di banale influenza potrebbe sterminarli. Credo che lo shock culturale sia stato maggiore per me che per gli Zo’è che, per tutto il tempo, hanno continuato tranquillamente a “esplorarmi”. Una giovane ragazza estrae dalla mia borsa uno specchietto in cui si ammira un po’, evidentemente compiaciuta mentre sfrutta una delle poche occasioni che ha, nella vita, di vedersi riflessa nitidamente.
Le donne abbelliscono il proprio corpo con un copricapo di piume d’uccello a mo’ di coroncina, bracciali di legno e cavigliere. Gli uomini hanno invece una specie di laccio in fibra naturale che stringe le parti intime (proprio “lì”) onde limitare l’afflusso sanguigno ed evitare erezioni indesiderate! Tutti, uomini e donne portano il simbolo tribale degli Zo’è, il puturo, un cono di legno che si infilano tra gengive e labbro inferiore dopo la caduta dei denti da latte.
I numeri dell’Amazzonia e delle sue tribù
50% delle foreste tropicali del mondo sono in Amazzonia (6,5 milioni di km2
650 mila km2 solo in Brasile sono oggetto di deforestazione
30 milioni gli abitanti dell’Amazzonia che si estende su nove Paesi sudamericani (soprattutto Brasile): è meno dello 0,3% della popolazione della Terra, ma parlano 150 lingue.
210.000 sono i nativi che vivono nell’Amazzonia brasiliana (0,2% della popolazione)
150 le tribù brasiliane (solo tre popoli superano le 10.000 unità)
50 gruppo indigeni in Amazzonia che non hanno avuto contatti con la civiltà (30 solo in Brasile soprattutto nel Nordest dello Stato di Amazonas e nel Nord del Parà)
Poligamia e poliandria (donne con tanti mariti) coesistono.
Naturale è la gestione comunitaria dei bambini, ognuno qui è “figlio di tutti”
Senza stress. Vivono cacciando, pescando e raccogliendo i frutti spontanei della foresta; poche attività che non portano via tempo, qui la natura è generosa.
Da una radura vedo un anziano giocare tranquillamente con una bambina, soggetti per uno scatto che non voglio perdere. A pochi metri di distanza c’è una donna che rovista rumorosamente nella vegetazione. Mentre la bimba continua a giocare, l’uomo raccoglie foglie, fibre e liane, intrecciandole con maestria. Incurante della mia presenza, il vecchio costruisce, nel giro di un’ora un “perfetto zaino vegetale dove riporre i tuberi e le bacche che la donna nel frattempo ha raccolto. Zaino in spalla, spariscono nella foresta con il cibo della giornata.
Se non sono impegnati a cercare cibo, giocano, riposano sulle amache, facendosi un sacco di “coccole” e lavandosi tra ruscelli e cascate. Sono attenti all’igiene e il loro corpi scattanti sono il risultato di una vita davvero salutare.
Ogni tanto qualcuno si ferisce o si ammala di malaria (un’altra piaga importata dagli europei) in quel caso raggiungono il presidio di Funai dove c’è un piccolo ma attrezzato ospedale.
Grazie anche a questo, il numero degli Zo’è è in forte crescita.
A livello sociale è straordinaria la coesistenza di poligamia e poliandria (donne con tanti mariti), fenomeno non molto frequente all’interno di un gruppo etnico. Mentre naturale e normale è l’assenza di qualsiasi forma gerarchica e la gestione comunitaria dei bambini: ognuno è “figlio di tutti”.
Non vivono in villaggi ma in accampamenti costruiti da semplici tettoie, sparsi per la riserva, tra i quali si spostano in piccoli gruppi, seguendo l’andamento della caccia.
A differenza degli uomini di 10.000 anni fa gli Zo’è hanno a disposizione la medicina e le radio dell’uomo moderno.
Li ho visti stare ore a parlarsi di caccia, spostamenti e chissà cos’altro grazie alle sette postazioni radio, poste in varie zone della riserva, che i Verdi Italiani gli hanno donato per avvisare il Funai in caso di attacchi da parte dei deforestatori o cercatori d’oro.
Oggi per fortuna la riserva non è in pericolo ma le radio sono diventate irrinunciabili per la loro comunicazione interna.
L’altro elemento moderno importato nella riserva è il cinema.
Ogni tanto al centro Funai proiettano un film per gli indios.
La scena a cui assisto è surreale: uomini, donne e bambini nudi che guardano un film hollywoodiano in mezzo all’Amazzonia!
La cosa però mi ha lasciata molto perplessa per il fatto in sé e per la violenza del film in questione. Nei primi minuti della proiezione, infatti, c’è stata una terribile sequenza di teste tagliate a persone sequestrate. Gli uomini del Funai, alle mie obiezioni, hanno risposto che l’isolamento degli Zo’è non potrà durare a lungo e quindi li stanno abituando alle nostra società e che comunque sono perfettamente in grado di distinguere la realtà dalla finzione. Per fortuna il pubblico in “sala” non è molto interessato e in pochi hanno assistito il film fino alla fine del film che è terminato con un corale “hatia” che nella lingua degli Zo’è significa “ciao”. La stessa parola la pronuncio risalendo sull’aereo, pronta a tornare dal mio popolo. Popolo che si è separato dal loro tanto tempo fa e che si è evoluto, nello stile di vita e cultura, in maniera differente da tutte le altre genti che poi nei secoli abbiamo modificato, inglobato o annientato.
Lasciando la riserva non posso che interrogarmi sulla loro sopravvivenza, ci saranno ancora tra 30 anni?
La risposta è terribilmente semplice: se la riserva-foresta ci sarà, loro ci saranno.
Gli Zo’è non lo sanno ma il loro futuro dipende dagli sforzi che faremo per proteggerli dall’estinzione, per conservarli.
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