Fare pesi in palestra aiuta a prevenire il diabete
Andare in palestra per potenziare i muscoli con pesi e macchine aiuta a prevenire il diabete.
Lo rivela una ricerca condotta dagli esperti americani dell’Università della California a Los Angeles e pubblicata sulla rivista di ricerca scientifica Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism.
Gli scienziati hanno misurato la massa muscolare e analizzato la quantità di zucchero nel sangue di un gruppo di quasi quattordicimila adulti. In questo modo hanno scoperto che i pazienti con una massa muscolare maggiore, cioè quelli che avevano i muscoli più potenti e sviluppati, erano anche quelli che meno soffrivano di insulino-resistenza, una condizione che è il primo passo verso il diabete. Si tratta della bassa sensibilità all’azione dell’insulina, la sostanza che il corpo produce per trasformare gli zuccheri in energia: quando questa condizione peggiora si trasforma nel diabete. Esercitarsi in palestra, concludono gli studiosi, può aiutare a ridurre la probabilità di ammalarsi.
Diabete autoimmune
Forma di diabete non insulino dipendente che si presenta solo nell’età adulta.
Parte nuovo studio sul diabete
Al via anche in Italia un’importante ricerca per lo studio del diabete di tipo autoimmune, che interesserà tutta l’Europa. Nel nostro Paese 15.000 persone saranno studiate per 5 anni attraverso 150 centri di ricerca. Il progetto denominato Nirad (Non Insulin requiring autoimmune diabets) sarà realizzato dalla Fondazione ricerca della Società italiana di diabetologia (Forisid) e si propone di acquisire nuove conoscenze per combattere e prevenire la malattia.
Un grande esperto illustra un preparato rivoluzionario contro questo disturbo
Diabete: un nuovo farmaco contro la glicemia
«Stimola la produzione di insulina e limita quella degli zuccheri nel sangue»
«Si adatta al paziente» il professor Gabriele Riccardi, docente di Endocrinologia e malattie del metabolismo all’Università Federico II di Napoli. «Il Liraglutide, nuovo farmaco contro il diabete, si adatta al paziente», dice. «Lavora quando nel sangue ci sono troppi zuccheri e sta “a riposo” quando i livelli sono normali».
Finalmente esiste una nuova arma per combattere i problemi legati al diabete. Infatti è giuto nel nostro Paese un nuovo farmaco, il cui nome scientifico, cioè non quello commerciale, è Liraglutide, che sarà di grande utilità per tutti i pazienti che, pur sofferenti di questo problema, non devono ancora ricorrere alle iniezioni di insulina ma hanno ugualmente necessità di tenere sotto controllo il livello di glicemia, cioè della quantità di zuccheri nel sangue. Si tratta di un farmaco rivoluzionario, capace di stimolare la produzione di insulina, cioè la sostanza in grado di demolire gli zuccheri quando c’è n’è bisogno e di limitare invece la sua produzione quando il livello degli zuccheri è ancora nella norma. Non solo: il farmaco è efficace anche per aiutare il paziente diabetico nel controllo del peso corporeo e quindi rappresenta un’arma in più dedicata soprattutto a chi, con il diabete, soffre di obesità: due situazioni che spesso sono strettamente collegate».
Son le parole di uno dei massimi esperti italiani per quanto riguarda il diabete, il professor Gabriele Riccardi, docente di Endocrinologia e malattie del metabolismo presso l’Università Federico II di Napoli. Inoltre, il professor Riccardi ricopre la prestigiosa carica di presidente della SID, la Società Italiana di Diabetologia.
Qual è l’utilità, per i malati di diabete di questo nuovo farmaco, il cui nome scientifico, cioè non quello commerciale con cui si chiederà in farmacia, è Liraglutide?
«Questo farmaco offre il vantaggio di stimolare il pancreas a produrre insulina solo quando il corpo ne ha veramente bisogno.
In pratica il farmaco si adatta, come se fosse intelligente, alle esigenze del paziente, lavorando quando nel sangue ci sono troppi zuccheri e mettendosi, per così dire, a riposo quando invece i livelli di glicemia, cioè gli zuccheri, sono nella norma.
Questa caratteristica assicura al paziente la protezione da alcuni inconvenienti che possono peggiorare la sua qualità di vita».
Quali inconvenienti?
«Un farmaco non intelligente, che si limita ad abbattere il livello di zuccheri nel sangue, se preso in maniera impropria o con dosaggi superiori alle reali necessità, potrebbe causare un calo eccessivo di questi stessi zuccheri. Come l’eccesso di zuccheri è negativo, anche per diminuzione sotto un certo limite può dare problemi.
Mi riferisco alla cosiddetta ipoglicemia, un termine che indica appunto un eccessivo calo di questa sostanza nel sangue e che porta disturbi fastidiosi come debolezza, sudorazione fredda, malessere generale, nausea e calo della pressione sanguigna. Nel paziente diabetico giovane e sano l’ipoglicemia non rappresenta un vero e proprio pericolo, se controllata con celerità attraverso una pronta somministrazione di una bevanda zuccherata. Diverso è invece nel caso dei pazienti con problemi cardiaci. E questa è una situazione non rara tra i diabetici di più lungo corso e già in età».
Perché le crisi di ipoglicemia sono più serie quando ne soffre un paziente con disturbi al cuore?
Perché una crisi di questo genere spinge il cuore a lavorare più velocemente e quindi, se il muscolo cardiaco è danneggiato o mal funzionante, questo superlavoro cardiaco potrebbe causare problemi più seri. Ecco perché, specialmente in questi pazienti, l’uso del Liraglutide può rappresentare una risorsa utile. Ma c’è un’altra categoria di pazienti che si potranno avvantaggiare molto all’uso di questo nuovo farmaco. Mi riferisco ai pazienti obesi».
Perché proprio i pazienti obesi potranno trarre un vantaggio dall’uso del Liraglutide?
«Le sperimentazioni effettuate hanno evidenziato che tra gli effetti di questo farmaco c’è anche quello di provocare consistente diminuzione del peso. Infatti è stato calcolato che in soli sei mesi di trattamento il Liraglutide può indurre un calo di peso calcolabile tra i tre e i cinque chili. È un risultato importante, considerando che esiste una relazione diretta tra aumento di peso e rischio di diabete».
Come si somministra il Liraglutide?
«Con una iniezione sottocutanea, quindi, come diciamo noi medici, per via intradermica. È la sola nota dolente sull’uso di questo farmaco. Occorre però considerare un aspetto positivo: rispetto all’insulina non è necessario procedere alla somministrazione dopo aver controllato il livello di glicemia nel sangue. Quindi, dopo aver stabilito con il diabetologo la dose, si sceglie liberamente il momento della giornata in cui effettuare l’iniezione con la massima serenità. A questo punto, l’unico obbligo diventa quello di assumere il farmaco tutti i giorni e possibilmente alla stessa ora, per migliorarne l’effetto protettivo e stimolante».
Tutti i pazienti diabetici possono usare questo farmaco?
«Posto che ogni valutazione sulla somministrazione di un farmaco va fatta da un medico diabetologo che conosce il paziente e quindi il caso specifico, posso dire di che si, il farmaco è adatto a molti pazienti con due caratteristiche fondamentali. La prima caratteristica è che soffrano del cosiddetto diabete di tipo due, cioè quello che insorge gradualmente con la progressiva diminuzione della funzione del pancreas. La seconda condizione , direttamente connessa alla prima, è che in questi pazienti si deve essere mantenuta una minima funzionalità del pancreas stesso. In pratica, in questa parete del corpo ci deve essere un numero sufficiente di cellule in grado di produrre spontaneamente l’insulina di cui il paziente ha bisogno. Se invece il pancreas non ha mai avuto o ha perso totalmente la capacità di produrre quella sostanza, il Liraglutide, purtroppo, non è più utile e il paziente deve appunto ricorrere all’insulina vera e propria».
Il vero e il falso sul nuovo farmaco per il diabete
È efficace anche nel controllo della pressione. Si somministra tramite iniezione nel braccio, ma si stanno studiando anche farmaci analoghi da prendere per bocca
Vero
Il Liraglutide solitamente è prescritto in aggiunta ad altri farmaci.
In particolare è somministrato a quei pazienti che non riescono più a stabilizzare i livelli di zuccheri utilizzando il primo farmaco prescritto in quei casi, cioè la metformina.
Falso
Il Liraglutide si può usare per cicli brevi di terapia, poi va sospeso.
Non c’è alcuna utilità nella sospensione della terapia: il farmaco, una volta assunto, è inserito nella cura che il paziente dovrà seguire sempre, nel futuro.
Vero
Il luogo dove preferibilmente si effettua l’iniezione è il braccio, nella parte superiore, o la coscia.
Alcuni inoltre preferiscono praticare le punture sull’addome, perché è una parte meno visibile del corpo.
Falso
L’ago che si usa per queste somministrazioni è molto lungo e spesso.
Trattandosi di una iniezione sottocutanea, l’ago è corto e sottile, quindi poco invasivo.
Vero
Si preferisce usare questo farmaco a dosi molto basse, all’inizio della terapia, per giungere alla dose desiderata dopo qualche settimana.
All’inizio della terapia il Liraglutide può dare qualche problema gastrico. Quindi una somministrazione graduale riduce al minimo i fastidi dell’inizio della terapia perché il corpo si adatta con maggiore facilità.
Falso
L’aumento graduale del dosaggio, prima di giungere alle dosi prescritte dal medico, deve essere effettuato direttamente dal paziente, che è tenuto quindi a buttare via un po’ di farmaco dalla siringa monodose.
Il Liraglutide è in commercio con diversi dosaggi: all’inizio della terapia il paziente dovrà usare le siringhe con dosaggio più basso, per poi aumentarlo nel tempo fino a raggiungere quello concordato con il medico diabetologo curante.
Vero
L’uso del Liraglutide non determina la necessità rivedere la terapia con metformina.
Non è necessario diminuire il dosaggio di quest’ultima medicina poiché lavorano bene assieme.
Falso
Nel caso in cui il paziente diabetico assuma un farmaco chiamato sulfanilurea, non può prendere il Liraglutide.
Può prenderlo ugualmente, ma in questo caso si può rendere necessaria una revisione dei dosaggi della sulfanilurea.
Vero
Il Liraglutide imita il comportamento di una sostanza presente nel nostro corpo.
Si tratta di un ormone, chiamato GPL-1, prodotto nell’organismo, che attiva o diminuisce la funzione del pancreas.
Falso
In alcuni casi è possibile assumere direttamente l’ormone GPL-1 senza la medicina.
Questa strada terapeutica è stata abbandonata perché l’ormone GPL-1 ha poca vita e quindi sarebbe stato necessario somministrarlo di continuo.
Vero
Il Liraglutide è molto ben tollerato dal corpo umano.
Poiché la sua composizione è molto simile a quella dell’ormone naturalmente prodotto dall’intestino di ogni essere umano, i fenomeni di rigetto sono stati veramente rari. Pertanto è un farmaco che si può usare in sicurezza.
Falso
Tutti i farmaci contro il diabete hanno un effetto positivo di controllo del peso.
Non è cosi: molti di questi purtroppo possono provocare un aumento di peso, se non ben controllati.
Vero
Il Liraglutide sembra essere efficace anche nel controllo della pressione arteriosa.
È un altro beneficio, utile ai diabetici che soffrono di pressione alta.
Falso
Sono gli effetti gastrointestinali del farmaco a causare la diminuzione del peso
A parte il primo momento di adattamento alla terapia, in cui gli eventuali fastidi effettivamente portano a un minore appetito, l’effetto del farmaco in realtà è più sofisticato e regola il senso di sazietà a livello del sistema nervoso.
Vero
Sono in avanzata fase di sperimentazione altri farmaci, da prendere per bocca, che hanno la capacità di proteggere la vita dell’ormone GPL-1. In questo modo, aumentando la sopravvivenza del corpo di questo ormone, si raggiunge lo stesso risultato ottenibile con il Liraglutide.
Falso
Nei pazienti diabetici l’ormone GPL-1 è prodotto in maniera insufficiente.
In realtà il diabete propriamente detto dipende dalla scarsa produzione di insulina. Il GPL-1 è come una vedetta che, accorgendosi dell’arrivo degli zuccheri, stimola la parte di pancreas ancora efficiente a produrre insulina.
Fasi ambulatoriali
Malattia del metabolismo che determina il mancato assorbimento degli zuccheri, che di conseguenza si accumulano nel sangue.
MA IL DIABETE E’ UN’EPIDEMIA
Metabolismo, insulina, zuccheri
E’ di due tipi: 1 e 2. Come prevenire quello di tipo 1 non si sa. Ma per quello di tipo 2 basta mangiare sano, non ingrassare e camminare mezz’ora al giorno.
Il cappello a larghe falde, l’abito nero e il grande colletto bianco plissettato e inamidato, il medico immerge l’indice destro nell’urina del paziente, lo porta alla punta della lingua, assaggia e commenta
“Urina quasi melle aut saccharo imbuta”, cioè “sembra imbevuta di miele o di zucchero”. Londra 1650: lui si chiama Thomas Willis, famosissimo medico inglese, e fino a metà dell’800 la diagnosi di diabete si continuò a fare così, sulle papille gustative dei medici.
Mellito e insipido.
Diabete viene dal greco e significa “passa attraverso”, perchè già i medici dell’antichità avevano notato che i malati facevano una grande quantità di urina” spiega Giorgio Cosmacini, docente di storia della medicina all’Università del San Raffaele di Milano. Qualcuno poi notò che quell’urina attirava una grande quantità di mosche, e per capire il motivo la assaggio. Le papille gustative consentirono di distinguere due tipi diversi, di diabete: mellito se l’urina era dolce come il miele; insipido, se l’urina non era dolce. Dal 1848 nessuno assaggia più l’urina, grazie al primo test di Hermann Christian von Fehling, e anche il diabete ha cambiato nome. Il diabete mellito oggi si divide in due: di tipo 1, o giovanile, o insulino dipendente: di tipo 2, o da consumo.
Il tipo “1” Il diabete insulino dipendente colpisce generalmente i bambini e gli adolescenti. alcune cellule del pancreas, dette beta, deputate alla produzione di insulina, che ha il compito di controllare la concentrazione del glucosio nel sangue, vengono distrutte dai globuli bianchi del sistema immunitario. Questo diabete è quindi una malattia auto-immune. La cura risale al 1921 e fruttò il Nobel allo scopritore, Frederick Banting che insieme a Charles Best e John Mac Leod, tutti dell’University of Toronto dimostrarono che bastava somministrare insulina per curare la malattia. Dal 1966 si sono tentate altre strade: il trapianto di pancreas o delle cellule beta estratte, ma i donatori di organi sono pochi. La soluzione potrebbe essere la rigenerazione delle cellule beta: a novembre Denise Faustman della Harvard University di Boston ha indicato la strada. Prima ha ucciso i globuli bianchi “ammutinati” di topolini diabetici con una proteina naturale (antagonista del Tnh-alfa): poi ha iniettato loro cellule della milza di donatori sani per generare globuli bianchi “obbedienti” che non aggrediscono le cellule beta. Si aspettava di dover trapiantare le cellule beta e invece queste sono ricomparse spontaneamente, rigenerate.
I diabetici italiani sono oggi 2,5 milioni; ma uno su tre non sa di esserlo.
Ammalati di cibo. Ma il diabete che oggi preoccupa di più, responsabile del 90% dei casi e in rapido aumento, è il diabete 2. Esso è dovuto a una minore sensibilità dei tessuti (muscolo e fegato) all’azione dell’insulina, che diventa sempre meno efficace mentre la malattia peggiora progressivamente.
“Il diabete 2 era praticamente sconosciuto durante l’ultima guerra Mondiale” dice Emanuele Bosi, dietologo del San Raffaele di Milano. E aggiunge Flavia Picci del laboratorio di metabolismo e biochimica patologica dell’Istituto superiore di sanità di Roma “negli anni ‘70 l’incidenza della malattia era di 2,5%, oggi è del 4-4,5%. Tradotto significa che i diabetici italiani sono oggi 2,5 milioni, e uno su tre non lo sa. Inoltre non solo si sta abbassando sempre più l’età di apparizione, ma se non si invertirà la tendenza. L’Oms prevede un raddoppio della malattia fra 20 anni un italiano su dieci sarà diabetico.
Cause e rimedi.
A che cosa è dovuta questa epidemia? Principalmente a tre fattori: abbondanza di cibo che porta a un progressivo aumento di peso: la costante diminuzione di attività fisica: l’invecchiamento della popolazione. Basterebbe modificare lo stile di vita per prevenire il diabete 2.
“Chi è sovrappeso ha un rischio doppio se non quadruplo rispetto ai coetanei magri”.
Se il proprio indice di massa corporea è superiore a 25 bisogna mettersi a dieta: è sufficiente perdere tra il 5 e il 10% del proprio peso, che vuol dire 4-6 kg su 80, in 6-8 mesi.
Una riduzione di peso che non dovrebbe spaventare nessuno. Particolarmente a rischio sono gli accumuli di grasso “a salvagente”, intorno all’addome. “Valori superiori a 88 cm per la donna e a 102 cm per l’uomo indicando la zona di chiaro aumento di rischio.
Correggere l’obesità riduce nuovamente il rischio”. Ma perdere peso non basta. “La dieta deve essere povera di grassi animali (burro, carni rosse, formaggi fusi) e di zuccheri semplici (dolci, merendine, bibite, zuccheri, farine raffinate) e ricca di vegetali: una dieta del buon senso” spiega Vincenzo Trischitta, associato di endocrinologia alla Sapienza di Roma.
“Se bisogna mettere qualcosa nella borsa, perchè no una mela?” Molto importante è poi la diagnosi precoce: se la malattia non viene diagnosticata per tempo c’è il rischio di complicanze: il 50% degli uomini adulti sopra i 50 anni col diabete ha problemi di erezione; sono quelli che devono ricorrere a Viagra e Cialis. Altri organi vulnerabili sono l’occhio (retinopatia), il rene (nefropatia), il sistema nervoso periferico (neuropatia), il cuore (infarto), e i vasi sanguigni (ictus e ischemia): il rischio complessivo di malattia cardiovascolare è più che raddoppiato nelle persone con diabete.
Se a questo poi si aggiunge l’ipertensione, il fumo, il colesterolo alto e l’obesità, il rischio aumenta ulteriormente.
I test per scoprirlo.
Diagnosi precoce significa un esame un esame del sangue: la glicemia. Quando? Prima dei 45 anni, se non ci sono altri sintomi, basta un esame del sangue ogni tre anni. Dopo i 45, e nei soggetti a rischio (familiari di diabetici, persone in sovrappeso, ipertesi, persone con trigliceridi, colesterolo e acido urico elevati) il controllo della glicemia va ripetuto una volta l’anno.
Per l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) è diabetico chi, ha digiuno, ha una glicemia di 126 mg per decilitro di sangue. Ma già a 110 mg deve squillare un campanello d’allarme. In alcuni casi particolari può essere indicato eseguire la “curva da carico orale di glucosio”, cioè la misurazione della glicemia ripetuta a intervalli regolari dopo aver bevuto una soluzione molto zuccherata.
E’ un test un pò più complesso della misurazione della glicemia nel sangue e consente di identificare quella che i medici chiamano “ridotta tolleranza glucidica”, una condizione che comporta un rischio del 30% di sviluppare il diabete nei 10 anni successivi. Gli studi epidemiologici dimostrano che hanno ridotta tolleranza glucidica il 4,5% dei bambini obesi, il 5% dei soggetti fra 40-60 anni e il 20% di quelli oltre 65 anni. Consente pure di correre ai ripari modificando lo stile di vita per ridurre il rischio. L’ultima spiaggia sono gli antidiabetici: alcuni riducono l’assorbimento dello zucchero a livello intestinale (l’acarbosio), altri favoriscono la produzione di insulina (sulfolinuree e altri secretogoghi), altri ancora riducono la produzione di zucchero del fegato (metformina) o migliorano l’impiego dell’insulina nei tessuti (glitazoni). Cure che durano tutta la vita. Perchè il diabete si può prevenire e si può curare, ma per ora non si può guarire.
Attenti a non assumere troppo succo di carota per l’altra concentrazione di zuccheri.
Farmaci che si possono assumere
Solosa Glimepiride
L'esercizio fisico tiene lontano il diabete
Dopo i 50 anni di età, dedicarsi con costanza a uno sport che alleni la forza fisica e la resistenza dei muscoli, come gli esercizi a corpo libero e con i pesi, non è solo un buon metodo per mantenersi in forma: tiene lontano anche il diabete: Lo ha dimostrato una ricerca americana condotta dagli esperti della Purdue University di Lafayette, nell'Indiana, che hanno seguito un gruppo di trentasei ultracinquantenni facendo loro eseguire per tre mesi, tre volte alla settimana, una serie di esercizi a corpo libero e con i pesi: Le persone di questa età, spiegano gli esperti, con il passare degli anni perdono la capacità di metabolizzare correttamente lo zucchero contenuto nei cibi: e questo, nel tempo, aumenta la probabilità di ammalarsi di diabete. Al termine del ciclo di allenamento, secondo i ricercatori, i pazienti sembravano ringiovaniti: avevano infatti migliorato del 30 per cento la capacità di trasformare correttamente gli zuccheri nel sangue e, di conseguenza, avevano di molto ridotto il rischio diabete.
Prevenire e controllare il diabete
Rimane nascosta anche per molti anni, ma quando insorge è una patologia che può provocare diversi danni.
Oltre alle terapie, oggi esistono molti modi per prevenirla e per tenerla sotto controllo
Poche regole per ridurre il rischio
Diversi studi hanno dimostrato che per ridurre significativamente il pericolo di sviluppare un diabete quando si è a rischio, è sufficiente attenersi a poche, semplici regole: una dieta sana generale, e un regime alimentare che riduca il peso di un chilogrammo al mese per chi è obeso, fino al raggiungimento del peso forma, affiancata a una moderata attività fisica. Almeno 30 minuti al giorno di passeggiata, o 20 minuti di passeggiata a ritmo sostenuto. Oppure 10 minuti di corsa o 5 minuti di nuoto.
Il diabete è una delle malattie più diffuse, ma è anche una delle più subdole.
Spesso sottovalutato è invece un nemico pericoloso, che provoca danni diffusi ai vasi sanguigni, favorendo l'insorgenza di molte patologie: lesioni ai vasi di piccolo calibro agli arti inferiori, ai reni e soprattutto alla retina dell'occhio. senza contare i danni alle arterie più grosse, che aumentano il rischio di infarti e ictus, e la disfunzione erettile (il diabete infatti è la prima causa di impotenza).
Il fatto è che il diabete può non dare alcun segno di sè per molti anni prima che si manifestino alcuni suoi sintomi caratteristici, come la sete eccessiva, il frequente impulso a urinare, il costante senso di affaticamento o l'appetito superiore al normale accompagnato da dimagrimento. Non a caso, gli studi epidemiologici dicono che solamente un diabetico su tre sa di soffrire della malattia.
Senile si, ma colpisce sempre più giovani
Nonostante tutto ciò, per diagnosticarlo è sufficiente un banale esame del sangue: quello della glicemia, che può essere eseguito in ambulatorio, in farmacia o perfino a casa, grazie agli appositi misuratori domiciliari.
ma chi e quando dovrebbe sottoporsi a questo esame?
Un tempo si parlava di diebete senile, per indicare quello che oggi è chiamato diabete di tipo 2, ma ora non è più così. Oggi i diabetologi raccomandano a tutti, dopo i 40 -45 anni, di sottoporsi regolarmente a un esame per il controllo della glicemia, con una frequenza annuale o biennale. Ma, non solo: questi controlli dovrebbero essere più frequenti e anticipati a partire dai 30 anni per coloro che sono a rischio.
Tra cui gli obesi, con peso cioè pari o superiore al 120 per cento del peso forma, gli ipertesi, che ha un livello di trigliceridi uguale o superiore ai 250 milligrammi per decilitro, o un basso livello di lipoproteine ad alta densità - il colesterolo HDL, quello "buono" - minire o uguale a 35 milligrammi per decilitro. E ancora, le persone con genitori o nonni che abbiano sofferto di diabete e le donne che nel corso di una gravidanza hanno manifestato iperglicemia transitoria o hanno partorito un bambino di peso superiore ai quattro chilogrammi.
Infine ci sono coloro che si trovano in una condizione che gli esperti definiscono di "prediabete", caratterizzata da un'alterata glicemia a digiuno (IFG), in cui i livelli di zuccheri nel sangue dopo il digiuno notturno è relativamente alto (tra 100 e 125 md/dl), ma non abbastanza per parlare di diebete.
Questa condizione può essere diagnosticata anche attraverso il test di tolleranza al glucosio (noto anche come "curva di carico"), che consiste in una serie di prelievi, il primo a digiuno e gli altri a intervalli di poche ore dopo aver bevuto una soluzione di glucosio.
Controlli frequenti e vita sana
La cosa migliore, quando ci si trova in una di tali situazioni a rischio è controllare i propri stili di vita, stando attenti alla dieta e svolgendo regolare attività fisica. Uno studio finlandese (Finnish Diabetes Study) ha infatti dimostrato che anche chi è prediabetico può ridurre del 58 per cento le probabilità di sviluppare la malattia vera e propria.
Accanto all'assunzione dei farmaci prescritti, dieta ed esercizio fisico sono, d'altra parte, un elemento essenziale anche della terapia per chi ha già il diabete conclamato.
Purtroppo, questo viene spesso dimenticato da chi, diabetico, pensa di risolvere tutto prendendo la pillola ipoglicemizzante. In realtà, come si può capire dall'elenco dei fattori di rischio già citati, il livello di glicemia dipende da molti fattori e non soltanto dall'assunzione di zuccheri: entrano in gioco, per esempio, la quantità di grassi animali ingeriti, o la passeggiata che si fa quotidianamente o meno.
Per riuscire a mantenere un diabete compensato, e impedirgli così di fare danni, è dunque importante controllare la glicemia molto più frequentemente di quanto spesso non si faccia. Il modo più semplice e veloce per farlo è quello di utilizzare un glucometro.
Si preleva una goccia di sangue, di solito mediante la puntura di un dito, e la si pone su un'apposita striscia da inserire nello strumento: in pochi secondi il display riporterà il valore della glicemia.
Esistono diversi tipi di glucometro, che variano in dimensione, tempo necessario per avere il risultato, memoria, entità del prelievo. I glucometri più avanzati consentono di fare il con una piccolissima goccia di sangue (meno di 1 ul), sono facilmente collegabili a un computer domestico, nel quale è possibile scaricare i dati, e forniscono il risultato in pochissimi secondi. Le nuove tecnologie e la riduzione del prelievo necessario consentono inoltre di effettuare il test, in diversi punti del corpo, oltre ai classici polpastrelli, come per esempio l'avambraccio. I glucometri domestici, del tutto identici a quelli utilizzati in ambito clinico, sono ugualmente efficaci per gestire la terapia nella vita di tutti giorni
Diabete e depressione
C’è una correlazione tra il diabete e depressione?
Secondo uno studio dell’Ateneo Northwestern di Chicago, non ci sono dubbi.
Nelle persone che hanno più di 65 anni la depressione può causare il diabete, malattia che, negli Usa, è a suo modo “cronica”. E sono due milioni le persone con più di 65 anni che soffrono di depressione.
Latte e formaggio sono amici della salute
Chi nella propria dieta abituale comprende regolarmente latte, formaggio e yogurt riduce la probabilità di ammalarsi di diabete e alcuni problemi cardiaci: questi alimenti, infatti, proteggono dalla cosiddetta sindrome metabolica, un gruppo di disturbi che comportano la riduzione della tolleranza al glucosio e la resistenza all’azione dell’insulina, l’incremento eccessivo del peso corporeo con il grasso concentrato soprattutto sulla pancia, l’innalzamento della pressione del sangue e l’aumento dei grassi in esso, che a lungo andare conduce appunto al diabete e alle malattie del cuore.
Lo sostiene una ricerca realizzata dagli esperti inglesi dell’Università di Cardiff e pubblicata sulla rivista di medicina Journal of Epidemiologi and Community Health. Gli scienziati britannici hanno esaminato, per un periodo di ben vent’anni, un gruppo di quasi duemilaquattrocento persone, fra i 45 e 59 anni, allo scopo di trovare una relazione fra la loro dieta abituale e i loro problemi di salute. Al termine dello studio, gli esperti inglesi hanno scoperto che, tra i pazienti, quanti bevevano almeno mezzo litro di latte al giorno avevano una probabilità del 62 per cento inferiore, rispetto a quanti non ne consumavano affatto, di ammalarsi di sindrome metabolica. Il rischio, hanno poi osservato gli scienziati, era minore tra quanti si nutrivano solitamente di latticini, come formaggio e yogurt. I ricercatori hanno attribuito questi benefici effetti di latte e latticini all’alto contenuto di calcio e vitamina D in tali alimenti, sottolineando che si tratta di sostanze che in altri studi hanno già dimostrato di potere abbassare la probabilità di ammalarsi di diabete.
È stata messa a punto a Genova una rivoluzionaria tecnica chirurgica
Dal diabete ora si può guarire
«Può sconfiggere la forma più diffusa della malattia», assicura il grazie a una operazione chirurgica siamo in grado di sconfiggere il diabete, una malattia di cui soffrono due milioni e mezzo di persone in Italia. Questo intervento, in realtà, era stato studiato per permettere alle persone obese di perdere peso ma poi, facendo i controlli periodici post operatori, ha dimostrato inequivocabilmente di essere utile anche per risolvere il problema del diabete. Così grazie a una operazione che richiede solo cinque giorni di degenza in ospedale e che spesso può essere effettuata in maniera mini invasiva, il paziente può ritrovare la piena libertà di alimentazione, eliminare i farmaci per il controllo della glicemia e, allo stesso tempo, mantenere costante il peso corporeo. Potrebbe essere una rivoluzione importante, che speriamo possa rendersi disponibile in tutti gli ospedali nel più breve tempo possibile».
Davvero il suo intervento può guarire il diabete?
«Sì, anche perché se tengo a precisare con il mio intervento posso risolvere esclusivamente un tipo di malattia diabetica, quella di tipo 2, detta anche “insulino-resistente”. Si tratta comunque della malattia diabetica più diffusa tra la popolazione e quella che insorge in età adulta. Non posso invece trattare pazienti affetti da diabete di tipo 1. il cosiddetto diabete “insulino-dipendente”, che può colpire anche in tenera età e che ha origini differenti».
Perché si possono trattare solo i pazienti con diabete di tipo 2?
Perché si possono trattare solo i pazienti con diabete di tipo 2?
«Per spiegarlo devo prima ricordare l’origine di questa malattia. Il diabete di tipo 2 insorge nel tempo a causa dell’accumulo di grasso corporeo all’interno delle cellule muscolati del corpo. Questo grasso in eccesso è introdotto nel corpo mangiando.
Quando noi dobbiamo compiere qualsiasi azione muscolare, il muscolo stesso ha bisogno di nutrimento. Normalmente questo è fornito dagli zuccheri, che sono portati al muscolo dall’insulina prodotta dal pancreas, che si comporta come un cameriere che ha in mano un piatto appena uscito dalla cucina. Ma se i muscoli sono pieni di grasso, le cellule che formano il muscolo, sono così per dire, sazie. In questo modo rifiutano gli zuccheri e questi, inutilizzati, rimangono nel sangue. Il pancreas non capisce che i muscoli sono giù sazi e produce ancora più insulina, fino ad affaticarsi eccessivamente e a smettere di funzionare. Ebbene, la mia soluzione consiste nel privare le cellule muscolari del grasso. Posso ottenere questo risultato chirurgicamente, limitando l’assorbimento di grassi a livello intestinale. Meno grassi significa muscoli pronti a ricevere il loro normale nutrimento di zuccheri. Il pancreas può ricominciare a fare il proprio lavoro normalmente e si ristabilisce l’equilibrio nel corpo del paziente».
Come è possibile limitare chirurgicamente l’assunzione di grassi
«Grazie a una tecnica che misi a punto oltre trenta anni fa e che in termini medici si chiama “diversione bilio-pancreatica”. In pratica l’intervento serve a fare sì che il cibo ingerito passi direttamente dallo stomaco al piccolo intestino, deviando il normale corso della digestione, evitando così il passaggio nel tratto chiamato bilio-pancreatico, cioè quella parte dell’apparato digerente che assorbe la gran parte dei grassi contenuti nel cibo».
«Oggi, operando con strumenti mini invasivi, possono essere sufficienti cinque giorni di ricovero. Quindi il paziente può ricominciare tranquillamente a fare sport, lavorare, mangiare quello che vuole e smettere anche di assumere farmaci per il controllo della glicemia, cioè del livello degli zuccheri nel sangue. In alcuni casi più complessi, però, si deve operare in laparotomia, cioè ragliando ed eseguendo l’intervento a cielo aperto. Questa operazione necessita una convalescenza più lunga, di circa un mese, ma i risultati, al termine della convalescenza, sono gli stessi».
Quali sono i risultati?
«I risultati consistono in una perdita di peso, che avviene nel giro di qualche mese e che riporta il paziente, mediamente, a un peso corporeo non superiore agli ottantacinque chili nell’uomo e a settanta nella donna. E, comunque detto, oltre alla perdita di peso, otteniamo la soluzione del problema diabetico in modo definitivo e duraturo nel tempo».
È già possibile effettuare questa operazione in tutti gli ospedali d’Italia?
«No, l’intervento quale rimedio per il diabete non è ancora stato autorizzato perché prima occorre una sperimentazione su larga scala. Questa dovrebbe cominciare nel luglio 2008 in ben venti ospedali disseminati in tutta Italia. Ma aspetto e spero che nel giro di due o tre anni al massimo si riesca a stabilire un vero e proprio protocollo di cura, cioè una serie di regole da applicare per ogni tipo di paziente».
Perché la malattia non è unica per tutti?
«Si, la malattia è quella, ma non tutti i pazienti sono uguali. Ci sono pazienti in là con gli anni e altri più giovani, i pazienti in sovrappeso o anche diabetici con corporatura normale. Insomma, se nei suoi caratteri generali l’intervento sarà più o meno simile per tutti, sarà comunque necessario adottare accorgimenti secondo l’età, il peso, il sesso e le condizioni generali del paziente. Questa parte dello studio deve essere ancora messa a punto ed è indispensabile per ottenere il via libera. Ma i risultati finora ottenuti sono talmente incoraggianti da farmi sperare di bruciare i tempi e rendere questa opportunità disponibile per tutti
molto presto>>
Il vero e il falso sul diabete di tipi 2
La malattia si può guarire con una operazione che limita l’assorbimento dei grassi
L’intervento non cura il diabete di tipo 1, quello che obbliga il paziente ad assumere
Vero
L’intervento limita l’assunzione di grassi a soli quaranta milligrammi al giorno. È il limite che permette al pancreas di tornare a svolgere il proprio lavoro.
Falso
Anche il diabete di tipo 1 si potrà risolvere grazie a questo metodo, in futuro. Il diabete di tipo 1 dipende dal fatto che il pancreas non produce più insulina, e non dalla quantità di grassi assunti.
Vero
Per prevenire il diabete di tipo 2 bisogna tenere il peso sotto controllo e fare sport. Se si osservano queste precauzioni è molto più probabile che si eviti il diabete.
Vero
Dopo l’operazione è necessario tenere per almeno quindici giorni una fascia elastica di contenimento sulla parte operata. Serve per evitare che si formino ernie.
Falso
L’intervento mini invasivo si esegue in anestesia locale. Occorre l’anestesie generale
Falso
Prima di sottoporsi a questo intervento occorrono molti esami. Bastano l’elettrocardiogramma, l’esame della funzionalità renale e un controllo sulle coronarie.
Vero
Anche i magri possono ammalarsi di diabete. Per questo tutti dovrebbero controllare periodicamente i livelli di glicemia con un esame del sangue.
Falso
Dopo l’intervento non è necessario eseguire visite di controllo. Se ne effettuano quattro nel corso del primo anno per verificare che il diabete regredisca.
Vero
Paradossalmente sono stati ottenuti risultati migliori, per la soluzione del diabete sui pazienti obesi. Il paziente diabetico obeso, infatti, ha un pancreas che ha smesso di funzionare correttamente soltanto dopo molti anni di “superlavoro”. Se il paziente diabetico è magro, invece, vuole dire che il pancreas è delicato e non funziona bene.
Falso
L’operazione non determina alcun cambiamento del transito intestinale. Il cattivo assorbimento dei grassi può portare a sviluppare delle diarree non facilmente controllabili. Il medico deve quindi valutare se il rischio che il paziente subisca un effetto collaterale è compensato dal beneficio generale.
Vero
L’operazione, che in pratica evita l’assorbimento dei grassi a livello del duodeno, può portare qualche squilibrio alimentare. È un intervento che determina un cattivo assorbimento di sostanze nutritive, tra cui le vitamine. Quindi bisogna valutare bene il rapporto tra i benefici generali ed eventuali disagi che questa situazione può comportare.
Falso
Il pancreas impiega almeno un anno prima di normalizzarsi. Gli esami fin qui effettuati indicano che bastano un paio di mesi perché i livelli di zuccheri nel sangue tornino normali.
Vero
Il diabete è una malattia dai costi altissimi. Secondo il Servizio Sanitario Nazionale, per le cure ai diabetici si spendono oltre cinque miliardi di euro, cioè circa diecimila miliardi di lire.
Falso
L’intervento di diversione bilio-pancreatica è ancora poco praticata nel mondo. Al contrario, è uno dei metodi più diffusi per il controllo chirurgico dell’obesità.
Vero
Il professor Nicola Scopinaro, che ha messo a punto questa operazione, è famoso nel mondo al punto che l’intervento stesso è chiamato “intervento Scopinaro”. È una usanza medica chiamare una tecnica con il nome del medico che l’ha messa a punto.
Falso
L’operazione è molto costosa per il paziente. Un intervento così costa più o meno ventimila euro, circa quaranta milioni di lire. Ma il paziente non spende questa somma di tasca propria: i costi sono coperti dal Servizio Sanitario Nazionale. E anche lo Stato ammortizza il costo dell’operazione in tre anni, ventimila euro è infatti la somma che, per curare un malato cronico di diabete.
Vero
A volte questo intervento ha migliorato la situazione dei pazienti il cui pancreas aveva addirittura smesso di funzionare, costringendoli a periodiche assunzioni di insulina. Limitando l’accumulo di grassi, le “cellule beta” del pancreas, cioè le fabbriche dell’insulina, si rimettono a lavorare normalmente.
Falso
Si può ricorrere all’intervento quando si vuole. È necessario prima tentare un approccio farmacologico e pietistico per vedere se si cala di peso evitando l’intervento. Si tratta infatti di una operazione chirurgica e, come tale, non può essere esente da rischi per il paziente che vi si sottopone.
Camomilla contro il diabete
La camomilla può rendere meno grave i sintomi del diabete, la malattia che rende impossibile per il corpo trasformare correttamente lo zucchero contenuto nei cibi. Lo rivela una ricerca realizzata dagli esperti giapponesi dell’Università di Toyama e pubblicata sulla rivista di biologia Journal of Agricuyltural and Envirommental Research. Gli esperti hanno somministrato in laboratorio estratto di camomilla ad alcuni topolini una volta al giorno per alcune settimane: trascorso questo periodo, gli animali avevano livelli di zuccheri nel sangue molto più bassi rispetto alla norma. Non solo: in loro la camomilla ha anche bloccato la produzione di due enzimi che, nei malati di diabete, provoca danni ai nervi, agli occhi e ai reni.
Contro il diabete va bene anche esercitarsi a casa
Chi ingrassa troppo rischia di ammalarsi di diabete, ma questo pericolo si può evitare facendo regolarmente un po’ di sport. Può bastare anche un’attività fisica leggera e fatta in casa, usando come attrezzi, scatoloni o bottiglie di acqua. Lo rivela una ricerca condotta dagli scienziati australiani delle Università of Ballarat sulla rivista di diabetologia Diabetes Care. Gli esperti hanno fatto seguire a sessanta persone con problemi di peso un corso di dodici settimane in palestra e ad altre sessanta, per lo stesso periodo, hanno insegnato a esercitarsi in casa con scatole e bottiglie. Al termine dello studio, gli scienziati hanno scoperto che i pazienti dei due gruppi avevano ottenuto i medesimi risultati: erano dimagriti di circa quattro chili e si dedicavano allo sport con la stessa frequenza.
Il diabete di tipo 2
Nel bambino e nell’adolescente
Come riconoscere e trattare un problema emergente
Negli ultimi anni tra i bambini e gli adolescenti si è assistito, in particolare in Europa, Usa, Giappone ed Australia, ad un considerevole aumento dei casi di diabete di tipo 2 (T2DM), malattia storicamente considerata tipica dell’età adulta e senile.
Prima degli anni ’90, il Diabete tipo 1, immunoimediato, insulinodipendente, costituiva la forma di diabete prevalente in età pediatrica e solo l’1-2% dei bambini diabetici soffriva di un diabete di tipo 2; a partire dagli anni ’90 invece si stima che circa il 20% dei bambini con diabete all’esordio abbia un diabete non immunoimediato. Il diabete di tipo 2 sta diventando così un’emergenza sanitaria mondiale: la maggior parte dei pazienti pediatrici con diabete di tipo 2 sono adolescenti dallo stile di vita sedentario e dalle errate abitudini alimentari(diabete di tipo 2 + obesità= “Diabesity”).
Che cos’è il diabete di tipo 2?
È un progressivo disordine metabolico cronico che deriva da una combinazione di resistenza all’azione insuliminale e indice di insulino resistenza.
Altro fattore di rischi maggiore è una storia familiare di diabete di tipo 2: il 15-80% dei bambini affetti ha almeno un genitore con diabete di tipo 2, il 70-100% un familiare di tipo e secondo grado affetto. Comprensibilmente, oltre a fattori genetici, gioca un ruolo fondamentale anche la presenza di un comune pattern comportamentale: i vari componenti familiari hanno spesso in comune diete ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di fibre e svolgono minimi livelli di attività fisica.
La pubertà rappresenta un fisiologico stato di insulinoresistenza, che gioca un ruolo determinante nello sviluppo del diabete di tipo 2, e svolge un’azione di tipo precipitante in un soggetto obeso con predisposizione genetica all’insulinoresistenza relativa (con intolleranza al glucosio).
La predisposizione al T2DM può essere legata a fattori prenatali: il rischio per diabete tipo 2 aumenta in presenza sia di basso che di elevato peso alla nascita, perché sia una ridotta che un’eccessiva nutrizione in utero causano alterazioni metaboliche ed ormonali permanenti che predispongono allo sviluppo di obesità, insulinoresistenza e disfunzione della B-cellula più tardi nel corso della vita. L’esordio è normalmente silenzioso ed insidioso, ma può aversi una anomala presentazione del tipo 2 con chetosi o cheto acidosi in circa 1/3 dei casi, con conseguente rischio di misclassificazione come forme di tipo 1.
La diagnosi di T2DM è basata sui criteri stabiliti dall’American Diabetes Association (ADA):
1) Presenza di sintomi di diabete (poliuria, polidipsia, e una perdita inspiegabile di peso) associati a glicemia basale >200 mg/dl (11.1 mmoI/L) oppure
2) Riscontro di una glicemia random a digiuno >126 mg/dl (7 mmoI/L) oppure
3) Riscontro di una glicemia > 200 mg/dl a 2 ore da un OGTT (carico orale di glucosio).
Nei dubbi può essere necessario il ricorso a test di laboratorio come il dosaggio dell’insulina basale e del minale e indici di insulino-resistenza.
Altro fattore di rischio maggiore è una storia familiare di diabete di tipo 2: il 45-80% dei bambini affetti ha almeno un genitore con il diabete tipo 2:, il 70-100% un familiare di primo e secondo grado affetto. Comprensibilmente, oltre a fattori genetici, gioca un ruolo fondamentale anche la presenza di un comune pattern comportamentale. I vari componenti familiari hanno spesso in comune diete ad alto contenuto di grassi a basso contenuto di fibre e svolgono minimi livelli di attività fisica.
La pubertà rappresenta un fisiologico stato di insulinoresistenza, che gioca un ruolo determinante nello sviluppo del diabete tipo 2, e svolge un’azione di tipo precipitante in un soggetto obeso con predisposizione genetica all’insulinoresistenza, facendo evolvere lo stato esistente di iperinsulinemia compensata (con normale tolleranza al glucosio). La predisposizione al T2DM può essere anche legata a fattori prenatali: il rischio per il diabete tipo 2 aumenta in presenza sia di basso che di elevato peso alla nascita, perché sia una ridotta che un’eccessiva nutrizione in utero causano alterazioni metaboliche ed ormonali permanenti che predispongono allo sviluppo di obesità, insulinoresistenza e disfunzione della B-cellula più tardi nel corso della vita. L’esordio è normalmente silenzioso ed insidioso, ma può aversi una anomala presentazione del tipo 2 con chetosi o cheto acidosi in circa 1/3 dei casi, con conseguente rischio di misclassificazione come forme di tipo 1 peptide-C, che sono normali o elevati nel tipo 2,
o la valutazione degli autoanticorpi in genere del T2DM. Non vi è indicazione a nessun intervento generale di Screening a livello di popolazione. Tuttavia dovrebbero essere sottoposti a screening per il T2DM a 10 anni di età e poi ogni due anni tutti i giovani in sovrappeso o che hanno almeno altri due fattori di rischio (storia familiare di T2DM in un parente di 1° o 2° grado, la presenza di segni associati con l’insulinoresistenza, come ipertensione, displisemia, achantosis nigricans o sindrome dell’ovaio policistico). Saranno sufficienti una glicemia a digiuno e post-prandiale, eventualmente associata ad una cura orale da carico di glucosio (OGTT) con valutazione della glicemia a due ore, anche se è un test più invasivo e costoso, e l’emoglobina glicata (HbA1C).
una volta fatta la diagnosi, gli obbiettivi del trattamento devono mirare a ottenere un ottimale controllo metabolico, a garantire un normale sviluppo psicofisico, ed a controllare le complicanze a lungo termine, quali ad esempio ipertensione dislpidemia, micro-macroangiopatie.
Per i pazienti asintomatici al momento della diagnosi il primo step del trattamento è basato su un programma di controllo del peso corporeo, con riduzione dell’introito di cibi ad elevato contenuto calorico e lipidico, ed aumento dell’attività fisica.
Qualora tale approccio non sia in grado di assicurare un buon controllo metabolico è necessaria la terapia farmacologica, che già rappresenta il primo approccio nei casi sintomatici al momento della diagnosi. In genere gli ipoglicemizzanti orali (OHA: biguanidi, sulfanilurea, acarbosio,) sono i primi ad essere impiegati, mentre è d’obbligo l’insulina nei casi ad esordio con disidratazione, chetosi, cheto acidosi, o con valori molto elevati di glicemia e di emoglobina glicata (HbA1C).
Allo stato attuale non esistono ipoglicemizzanti orali a misura di bambino, salvo la Metformina , una biguanide, efficace nel miglioramento della glicemia e della emoglobina glicosilata, senza rilevanti effetti collaterali, eccetto disturbi gastrointestinali o cefalea.
È inoltre fondamentale che tutti i bambini e gli adolescenti affetti da T2DM, e coloro che se ne prendono i cura, dovrebbero essere istituiti a monitorare la glicemia ed i chetoni urinari (follow-up) È importante cha siano ben conosciuti quali sono i sintomi tipici associati all’iper – o ipoglicemia e raccomandare vivamente il controllo della glicemia ogni volta che tali sintomi si presentino, soprattutto in coincidenza con infezioni o se il soggetto manifestasse nausea, vomito o dolore addominali.
È auspicabile arrivare a un controllo metabolico preciso cercando di ottenere valori HbA1C intorno a 6,5–7% ed effettuare anche un costante ed attento monitoraggio delle complicanze che frequentemente si associano al T2DM.
Bisogna infatti sottolineare che il diabete tipo 2, soprattutto nella forma particolarmente aggressiva ad esordio in età adriatica, può determinare a medio e lungo termine patologie vascolari gravi e invalidanti.
Vi è un elevato rischio di sviluppare precocemente ipertensione, fattore importante nella genesi di renitopatia e nell’aggravamento della nefropatia, o aterosclerosi, che insieme alla neuropatia periferica portano alla sindrome del “piede diabetico”. È previsto quindi un protocollo molto stretto di controlli del fondo oculare, della funzionalità renale e cardiovascolare.
La prevenzione resta comunque l’elemento fondamentale e deve essere diretta alla popolazione generale; dovrebbe iniziare precocemente, già in gravidanza, raccomandando alla gestante un’alimentazione corretta ed un esercizio fisici adeguato e monitorando costantemente la crescita del feto. Dopo la nascita va promosso l’allattamento materno, evitando un incremento ponderale troppo rapido. Nelle età successive è necessario modificare gli apporti più dal punto di vista qualitativo che quantitativo, attraverso l’educazione alimentare, l’incremento dell’attività fisica e la riduzione della sedentarietà.
Secondariamente la prevenzione va attuata con l’individuazione precoce dei soggetti ad alto rischio d il loro attento screening in modo da ritardare e se possibile evitare l’esordio del diabete stesso.
Conclusioni: il diabete tipo 2 è un problema emergente ed in continuo aumento in età pediatrica e richiede, per una prevenzione ed un trattamento efficace, un approccio generale che coinvolga il bambino, la famiglia e la società. È fondamentale una precoce individuazione dei nuovi casi, ma anche delle forme di prediabete, individuando, ed agendo sui fattori di rischio noti per il suo sviluppo, primo fra tutti l’obesità.
Il diabete mellito (DM) è un’alterazione del metabolismo glucidico che si caratterizza per la presenza cronica di iperglicemia; è secondaria a difetti della secrezione insulinica, dell’azione insulinica o entrambe queste condizioni.
Secondo la definizione corrente si parla di DM quando è presente in 2 rilevazioni successive a una glicemia a digiuno eguale o superiore a 126 mg/dl.
Si definisce alterata una glicemia a digiuno o IFG una glicemia compresa tra i 100 e 125 mg/dl, e alterata tolleranza glucidica o IGT una glicemia dopo 2 ore dal carico orale di glucosio compresa tra 140 e 200mg/dl.
L’identificazione dei soggetti con IFG o IGT è di notevole importanza in quanto i pazienti
con IGT presentano un rischi cardiovascolare sovrapponibile a quello dei soggetti diabetici e quelli con IGF hanno un rischio elevate di esitare in DM.
Si distinguono 2 forme di DM: il tipo 1 o giovanile dovuto a insulina-deficienza e il tipo 2 o dell’adulto caratterizzato da un quadro di insulino-resistenza, inadeguata secrezione insulinica ed aumenta produzione epatica di glucosio.
L’incidenza e la prevalenza del DM di tipo 2 sono in continuo aumento in tutti i paesi industrializzati a causa del progressivo incremento di obesità e sedentarietà. Sino a pochi anni fa era prerogativa quasi esclusiva della popolazione adulta: negli Stati ultimi anni si è registrato invece un numero crescente di nuovi casi di DM di tipo 2 in età giovanile, correlato al crescere della prevalenza dell’obesità in età pediatrica.
Il diabete, che in passato si riteneva essere un problema del metabolismo del glucosio, invece provoca la maggior parte dei suoi danni attraverso effetti significativi sul sistema cardiovascolare.
Il DM di tipo 2, che rappresenta circa il 97% di tutti i casi di DM, presenta all’esordio sintomi di solito sfumati e spesso la diagnosi viene posta solo quando si presentano le complicanze c/v.
Da qui l’utilità di alcuni esami di laboratorio in grado di svelare la presenza della malattia diabetica quando ancora asintomatica.
Chi va sottoposto a screening per il DM di tipo 2?
Tutti i soggetti in età > 45 anni, soprattutto se sovrappeso, dovrebbero sottoporsi al dosaggio della glicemia ogni 3 anni.
Lo screening va effettuato in età più precoce in soggetti con uno o più dei seguenti fattori di rischio per diabete: sovrappeso; appartiene a etnie ad alto rischio (immigrati ispano-americani o indiani); pregresso riscontro di alterata glicemia a digiuno o ridotta tolleranza ai carboidrati: storia di diabete gestazionale o l’aver partorito un feto > di 4 kg ; ipertensione arteriosa; colesterolo HDL inferiore a 35 mg/dl e/o trigliceridi eguali o >250 mg/dl; pregressa patologia vascolare.
Clinicamente le complicanze sono suddivise in microangiopatiche e macroangiopatiche e coin
La terapia del paziente con DM deve di conseguenza perseguire i seguenti obiettivi: controllo ottimale della glicemia; diminuzione del sovrappeso mediante dieta adeguata; incremento dell’attività fisica aerobica; controllo della pressione arteriosa; controllo della dislipidemia; abolizione del fumo; eventuale terapia antiaggregante.
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