Due sonde, due rover, e un robot.
E’ questa la flotta terrestre che raggiungerà Marte tra la fine dell’anno in corso e l’inizio del prossimo.
Obbiettivi? Lo studio sistematico della crosta e dell’atmosfera del pianeta e la ricerca di prove definitive dell’esistenza di una qualche forma di vita.
A suggerire che la vita marziana esiste ancora ai giorni nostri, infatti non ci sono solo le controverse tracce fossili in meteoriti giunti dal pianeta rosso, o i segni dell’acqua scorsa più o meno in tempi lontani, ma anche tre recenti indagini scientifiche fatte da tre diversi ricercatori. Ovvio nessuno ha ipotizzato esseri con le antenne, un occhio solo e magari con la pelle verde: si tratterebbe solo di forme di vita primitiva, di microrganismi. Ma sulla Terra i microrganismi sono stati la prima forma di vita, dalla quale si sono sviluppate tutte le altre.
I TRE PROTAGONISTI
Ecco che cosa dice, per esempio Gilbert Levin, fondatore della società Biospherics.
Ho fatto parte del team di scienziati che ideò e seguì uno degli esperimenti realizzati per cercare forma di vita su Marte attraverso le sonde Viking che scesero sul Pianeta rosso nel 1976. I risultati ottenuti erano tutti a favore della vita marziana spiega Levin. A favore delle prove raccolte dalle sonde Viking è anche Joseph Miller, neurobiologo all’Università della California, a San Diego “sulla base di nuove informazioni da me estratte da uno degli esperimenti biologici che il Viking condusse su Marte, mi sento di sostenere che la probabilità dell’esistenza di vita microbica è del 90 %”. Infine, c’è Carol Stoker, dell’Ames Research Center della Nasa, il quale ha lasciato trapelare che nelle immagini ricevute dalla sonda Pathfinder, scesa su Marte nel 1997, comparirebbero tracce di clorofilla sulla superficie di alcune rocce. Tuttavia, per prudenza lo scienziato della Nasa si è immediatamente preoccupato di affermare. “Non siamo pronti per fare un grande annuncio. Prima vogliamo esserne certi al 100%.
MARCATI DAL CARBONIO
Per capire le prime due affermazioni bisogna fare un passo indietro nel tempo di oltre 25 anni e salire a bordo delle sonde Viking per seguire l’esperimento del rilascio di anidride carbonica marcata”, ideato proprio da Levin, che così lo spiega. “Tutti i microrganismi terrestri che metabolizzano sostanze organiche liberano anidride carbonica. Pensai che se si fosse preso un campione di terreno marziano e lo si fosse spruzzato con nutrienti che avessero contenuto carbonio radioattivo, eventuali organismi presenti nel suolo si sarebbero nutriti di tali sostanze e di conseguenza avrebbero emesso anidride carbonica la cui molecola sarebbe stata composta, tra l’altro, dal carbonio radioattivo e quindi sarebbe stata facile da rivelare. Mike Carr, geologo della Nasa al tempo dei Viking, ricorda il momento in cui arrivarono i primi risultati dell’esperimento di Levin. Mio Dio dissi, c’è vita su Marte. La risposta era infatti positiva. I grafici erano identici a quelli trovati decine di volte quando si facevano le prove a terra. Non appena si aggiungevano i nutrienti si aveva una forte emissione di anidride carbonica radioattiva che poi diminuiva lentamente nel tempo. Tutto faceva pensare che i marziani esistessero. Ma il gelo scese tra gli scienziati quando un’altro esperimento del Viking, che aveva il compito di trovare molecole organiche nei suoli, non ne trovò neppure una.
MISURE POCO ACCURATE
A quel punto si cercò di spiegare la misteriosa emissione di anidride carbonica senza tirare in ballo organismi viventi. L’ipotesi che ebbe più credito fu quella legata all’esistenza, nel suolo marziano, di materiali ossidanti: avrebbero attivato reazioni chimiche capaci di decomporre i composti organici delle soluzioni nutritive e di simulare un’azione biologica. La convinzione di Levin è però un’altra: Non si sono trovate tracce di composti organici perché il sistema di rilevazione di allora non era così raffinato da mettere in luce i microrganismi marziani sostiene Levin. A suo favore c’è il fatto che un test precedente , effettuato nei suoli antartici e desertici, portò a risultati analoghi: trovò batteri, ma non permise di rilevare le sostanze organiche, presenti in quantità troppo basse per il rilevatore. Levin si è battuto per anni a sostegno di questa tesi, ma senza mai convincere la Nasa. Recentemente però, è entrato in gioco anche Miller, un biologo che ha il pieno sostegno dell’agenzia spaziale statunitense. A lui infatti, la Nasa si è rivolta anni ‘80 per trovare i giusi ritmi di veglia e di sonno per gli astronauti a bordo degli Shuttle. Miller è infatti un luminare nello studio dei cicli circadiani. Si occupa, cioè delle risposte biochimiche con cui gli esseri viventi reagiscono al succedersi della notte e del giorno. Recentemente, nell’ambito di una nuova ricerca della Nasa per la futura esplorazione umana di Marte, lo scienziato ha analizzato i grafici degli espeimenti di Levin.
Un dettaglio cui nessuno, 26 anni fa, aveva dato importanza (anche perchè non si conosceva nulla di questa disciplina) ha fatto suonare un campanello d’allarme per Miller.
DI NOTTE, IL SUOLO SI RIPOSA
Notai che l’emissione di anidride carbonica dal suolo marziano non era continua, ma mostrava un aumento durante il giorno e un calo durante la notte, spiega il ricercatore. Analizzando i tabulati, lo scienziato scoprì che l’anidride carbonica veniva emessa con cicli della durata di 24,66 ore che coincidono con il giorno marziano. Questa ritmicità non può che essere imputata a una qualche forma di attività biologica” sostiene Miller. Anche questa volta sono state cercate spiegazioni che non richiedessero la presenza di organismi viventi, ma lo scienziato le ha smontate una dopo l’altra. Spiega Miller. “Credo che Levin avesse regione già 25 anni fa”. Miller a anche accusato la Nasa di essere troppo prudente, e ha notato con ironia: “Sarebbe divertente se fosse l’Agenzia Spaziale Europea a confermare le deduzioni di Levin”. Infatti, le prossime missioni Nasa non approfondiranno gli studi del Viking, mentre la missione europea, la Mars Express include Beagle 2 un robot che scenderà sulla superficie ed effettuerà anche 2 esperimenti dedicati alla ricerca della vita. Il primo misurerà la percentuale di 2 isotiopi (atomi con lo stesso numero di protoni, ma diverso numero di neutroni) del carbonio (il C12 e il C13). Dove c’è vita la percentuale propende verso il C12 e si aspetta di trovare valori del rapporto C12-C13 tra il dieci e il quaranta per mille. Oltre a ciò, Beagle 2 cercherà anche il metano, un elemento che sulla terra è prodotto da molti organismi vegetali e animali. Questo gas si ossida facilmente (distruggendosi) e dunque se è presente nell’atmosfera, significa che forme di vita attuali lo producono e lo mettono in circolazione.
SIAMO CUGINI DEI MARZIANI
E se non arrivassero risposte certe? La diatriba potrebbe rimanere aperta finché non si faranno nuove ricerche ad hoc direttamente sul pianeta. Anche le analisi spettrografiche (quelle eseguite da Stoker e che dimostrerebbero l’esistenza di clorofilla su Marte), infatti, possono ingannare: accadde in passato, quando analizzando la luce emessa da alcune nubi di gas nello spazio alcuni astronomi sostennero erroneamente che al loro interno c’erano batteri. “Una cosa, però, è certa” spiega Cristiano Cosmovici, bioastronomo del Cnr: le comete trasportano i 4 elementi fondamentali della vita (carbonio, azoto, ossigeno e idrogeno) e possono aver inseminato tutti i pianeti della Galassia. Se su Marte questi “mattoni” primordiali hanno trovato le condizioni adatte, come è successo sulla Terra, non è da escludere che nel giro di milioni di anni non si possano essere evoluti in forme viventi”. Insomma, la vita su Marte probabilmente c’è davvero, e ha la stessa origine della nostra.
23 settembre 1846
Studiando l’orbita di Urano, l’astronomo tedesco Johann Gottfrield Galle scopre Nettuno, il primo pianeta ad essere stato trovato tramite calcoli matematici più che attraverso regolari osservazioni. Ben presto verranno individuati anche i suoi satelliti, Tritone e Nereide.
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