Sei nato a mezzogiorno di venerdì. Senza grandi clamori, alla svelta, senza farmi soffrire troppo.
Avevi gli occhi chiusi, la lingua penzoloni. Ti guardai e pensai: com’è brutto! Ma non ebbi i coraggio di dirlo e sussurrai com’è piccino! Le cose col tempo, non miglioravano. Tutti sapevano intorno a noi, meno tuo padre e io. Ci mandarono da un medico famoso. Quando tornai a casa, ti misi nella culla e pregai: “Signore, Dio dà, Dio toglie, riprenditelo ora. A che cosa serve la sua vita inutile?”.
Perdonami figlio mio. Ti chiesi perdono allora, subito, e ti chiedo perdono ora. Imparai che eri un figlio come gli altri, solo con problemi diversi. Quando dicesti “mamma” piansi di gioia, anche se avevi tre anni. Quando malfermo sulle gambe, mi corresti incontro spalancai le braccia e fui felice anche se avevi più di quattro anni. E mi insegnasti la pazienza.
Quando in quell’epoca nessuno ti voleva, nè la scuola, nè la società, imparai a essere umile, sorridente, gentile, perchè qualcuno ti facesse una carezza. E mi insegnasti l’umiltà.
Quando la gente cominciò ad accorgersi di te e di quelli come te, cominciai a combattere perchè tu fossi accettato. E mi insegnasti a lottare.
Quando le altre madri sognavano per i loro figli il primo posto nella scuola, nella carriera, nella società, il mi accontentavo dei tuoi piccoli progressi. E mi insegnasti a desiderare per i miei figli la felicità, non la ricchezza e il successo.
Tuo padre e io con la maturità avevamo conosciuto una tenerezza nuova, un’intesa mai raggiunta prima; e tutti e tre passammo l’ultima vacanza felice all’Elba: la più bella di tutta la nostra vita.
Poi la malattia e la morte di tuo padre. Quando tornai disperata dal camposanto, trovai di nuovo te a casa che non sapevi niente, che capivi poco, ma “sentivi”, per quella misteriosa sensibilità che hai, che qualcosa di terribile era successo. E per te ho cominciato a sopravvivere, poi, sia pure in tono minore, a vivere; per te ho cominciato a lavorare, a lottare.
Tu sei la mia compagnia: se ho ancora una carezza, se qualcuno ancora mi abbraccia, se qualcuno ancora si ricorda che il bisogno di tenerezza no ha età lo devo a te.
Se riesco a dare ancora felicità a qualcuno, questo sei tu, a cui basta poco per essere felice.
Inutile la tua vita?
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