Il fine dicitore
«Ninì Santoro il fine dicitore,
maestro di eleganza e di maniere
il re del music-hall, il gran signore,
debutta questa sera al Trianon».
Guardando il manifesto, chi leggeva
pensava: certo questo è un artistone.
Tenevamo questo attore? E chi lo sapeva!
Stasera stessa lo vado a sentire.
Con la tuba, la caramella e un bocchino
d’avorio giallo, lungo mezzo metro;
un fazzoletto bianco nel taschino,
addosso un frack di seta blu-mare.
Tutto il teatro illuminato a giorno,
una marcia trionfale come «l’Aida»,
Santoro uscì e con una faccia da corna
pareva che diceva: «Eccomi qua!
Adesso vi devo far vedere chi è Santoro,
il fine dicitore, il fantasista
che quando apre la bocca caccia l’oro,
oro colato di prima qualità».
Il pubblico ansioso si aspettava:
chi sa adesso cosa esce dalla bocca di questo Santoro.
Ma cosa doveva uscire… Santoro balbettava,
faceva smorfie, salti e niente più.
Non finì nemmeno il ritornello
del primo raccontino d’avventure,
quando dietro di me: «Santoro sei bello!»
E allazza una pernacchia di novità.
Fu come un segnale di una battaglia,
mancava poco e ci scappava il morto:
e sicché mi parevano mitraglia
Santoro non poté continuare.
«L’artista si fece su il fagotto:
il frack, la tuba, il fazzoletto bianco,
si nascose pure la caramella.
Disse: «Ho sbagliato… Che devo fare?».
Trent’anni son passati da quella sera
che il fine dicitore fantasista
per forza dovette chiudere la carriera
a beneficio dell’umanità.
Ieri stava scritto sul giornale
che «dopo vari e lunghi appostamenti
è stato assicurato un criminale
alla giustizia delle autorità».
E chi era, neh, questo disgraziato?
Santoro… il dicitore fantasista,
che per mangiare, al furto s’era dato
il pover’uomo per poter campare.
Io penso che fu l’epoca sbagliata;
trent’anni fa tutto era una altra cosa.
Oggi che il nostro gusto è cambiato
Santoro sarebbe una celebrità.
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