È stato un mito degli anni ’60. Inventò un genere musicale di rottura tra il melodico tradizionale e il jazz

Era piccolo così ma faceva sognare
Un personaggio fuori da coro: solitario, silenzioso, musone, non era neppure donnaiolo come invece lo definivano
Cominciano dalla fine. È l’alba del 3 febbraio 1960, Ferdinando Buscaglione detto Fred sta tornando nel suo albergo romano dopo in’interminabile notte in cui ha girato vari locali, ma bevuto solo qualche bicchiere. Da un po’ di tempo il fegato a pezzi si consiglia di andarci piano con il whisky. La sua Thunderbird rosa-shoking sta viaggiando a velocità sostenuta. Le strade sono deserte. Giunto all’incrocio tra via Paisiello e via Rossini s’accorge in ritardo che dalla destra sta sopraggiungendo un camion carico di blocchi di tufo. Il cantante cerca di accelerare, ma la manovra non gli riesce: lo scontro è tremendo, la macchina s’accartoccia contro il pesante mezzo. Buscaglione si accascia sul volante con la testa fracassata. Però respira ancora. I passanti lo caricano su un autobus della linea 90 che si apprestava a prendere servizio, ma appena arrivato al Policlinico esala l’ultimo respiro. Soltanto a quel punto i medici si rendono conto delle generalità della vittima. La notizia si diffonde in un attimo: a 38 anni se ne ara andato uno dei più straordinari interpreti della musica leggera italiana.
Il cantante era nato a Torino il 23 novembre 1921 da una famiglia modesta: padre verniciatore di ringhiere, madre portinaia di un palazzo nella centrale piazza Cavour (ma a tempo perso anche insegnante di pianoforte), altre due bocche (i fratelli Marie e Umberto) da sfamare. La scuola dell’obbligo è per lui (appunto) un obbligo, tanto che poi vira sul Conservatorio che abbandona presto perché sognava il sax e il jazz, mentre lì gli toccava studiare pianoforte e la musica classica che gli mettevano tanta tristezza.
Il successo arriva con le criminal songs scritte con l’inseparabile Leo Chiosso che abita come lui nel cuore di borgo Vanchiglia a Torino
A diciasette anni inizia il tour tra i locali più scalcagnati, partendo da un piccolo scantinato a pochi metri da casa. Poi, poco alla volta, sale di livello spostandosi al “Fortino” e allo “Stadium”. «Torino», ricordava il Fred, «ha un certo numero di dancing, ebbene, in poco più di tre anni suonai in pratica in ognuno, passando da un’orchestrina all’altra e cimentandomi con tutti gli strumenti». Grazie a Renato Germonio, come tutelare del jazz torinese, nel ’39 incontra il maestro Cinico Angelini, uno dei nomi più popolari della musica radiofonica, che lo scrittura nella sua orchestra il cui quartier generale era il “palazzo rosso” dell’Eiar (la futura Rai) di via Verdi. Dopo la guerra Fred mette in piedi la prima formazione degli Asternovas, con cui si esibisce nei fumosi night di Olanda, Francia e Svizzera. A Lugano conosce Fatima, contorsionista-cantante-ballerina marocchina, che sposerà nel ’54. Nel ’47 fa amicizia con l’autore-rugbista-goliarda Leo Chiosso. I due si annusano, si frequentano, si piacciono. Oltre che per la musica, hanno in comune la passione per la notte, da tirare il più possibile alla lunga con l’aiuto di alcol e sigarette Gran Serraglio. Ed è proprio di notte che, dai rispettivi balconi posti uno di fronte all’altro nel cuore di Vanchiglia, il petroliere e l’interprete creano le loro canzoni strampalate e irriverenti: pupe platinate da corteggiare e gangsters dalla pistola facile da cui difendersi, sullo sfondo dell’America anni Trenta dei gialli di Mickey Spillane e Damon Runyon, di cui Chiosso era un vero e proprio divoratore. Ma sul palcoscenico di quelli che diventeranno veri e propri ever-green (Che bambola, il dritto di Chicago, Che notte, Eri piccola così, Teresa non sparare…) sfilavano anche procaci bellezze vestite di lamé che uccidevano solo con lo sguardo, corrotti tutori dell’ordine e sparatorie estrapolate dai romanzi gialli dell’inglese Peter Cheyney o dai film interpretati da Eddie Costantine. Nella prima metà degli anni Cinquanta Fred, che intanto nel ’52 era stato eletto il miglior violinista hot d’Europa, incomincia a lavorare al “Faro”, dove in coppia con la moglie si cimenta sempre con maggior convinzione pure come cantante. Inizialmente il suo repertorio è all’insegna delle grandi cover internazionali; poi, poco alla volta, cerca di propinare le criminal songs scritte con l’inseparabile Leo.
Ma, si sa, i torinesi sono diffidenti e abitudinari.
Dino Arrigotti, il suo pianista: «Quando partivamo con quei motivi strampalati in sala scendeva il gelo: il pubblico smetteva di ballare e si assiepava attorno ai tavolini in attesa che il supplizio terminasse. Poi, dopo un quarto dora, tutto tornava come prima e le danze potevano riprendere. C’è n’è voluto di tempo prima che quei pezzi lasciassero il segno…».
I suoi erano veri e propri sketch, e non semplici canzoni. Da interpretare, oltre che da intonare, abbigliato da balordo-sciupa-femmine, gran gesticolare e aria sorniona. Brani che irrompevano su una scena musicale sin lì dominata da Vecchio scarpone e Tutte le mamme; pezzi melensi e sdolcinati, a cui si contrapponeva il pungente e cinico sarcasmo dell’artista torinese dalla voce resa cartavetrata da mille sigarette. Fred, ovverossia un personaggio fuori dal coro: fa un po’ specie definire in tal modo chi faceva quel mestiere. Eppure Buscaglione era proprio così: solitario, silenzioso, un po’ musone. E neppure troppo donnaiolo, come faceva comodo dipingerlo per alimentarne il personaggio. Di lui si diceva che “ragionasse in musica”, tanto il mestiere era al centro della sua vita. Non si interessava di politica, seguiva poco il calcio (anche se tifava tiepidamente per la Juventus ) e non era particolarmente religioso. Nel breve volgere di un paio d’anni, a partire dal ‘56-’57, il cantante raccoglie tutto quello che aveva seminato in un ventennio. I juke-box gli danno grande notorietà, così come la radio e le serate nei più famosi locali italiani.
Poi, in rapida successione, arrivano pure la televisione e il cinema, dieci pellicole (di cui due da protagonista) interpretate in pochi mesi. L’ultima A qualcuno piace Fred con Scilla Gabel e Totò,poi uscita con il ben più rassicurante titolo di Noi duri, non fa in tempo a completarla: il destino aveva deciso di giocare le proprie carte con argo anticipo e molta impazienza.
Si spegneva così, proprio sul più bello, la favola di un figlio della Torino operaia.
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