Un insegnante di Pescara svela l’ultimo segreto degli Incas
Facevano calcoli complicati e rapidi, dice il professor Nicolino De Pasquale, con un sistema matematico superiore al nostro, a base 40 e non 10. L’enigma delle “tavole” chiamate “yupane” durava da cinquecento anni ma io l’ho risolto in mezzora.
Per cinque secoli sono state uno dei misteri più impenetrabili dell’archeologia e della scienza.
Le yupane, le vasche in pietra usate dagli Incas come calcolatrici, sono state l’incubo di tutti gli scienziati che hanno tentato di decifrarne l’uso. Ora il rompicapo, che resisteva tenacemente da cinquecento anni ad ogni assalto, è stato finalmente risolto. A farlo è stato un italiano. Non un archeologo d’assalto, un Indiana Jones dei nostri tempi, ma un tranquillo professore di Pescara che le Ande e le rovine del leggendario impero Inca le ha viste solo sulle illustrazioni dei libri. Nicolino De Pasquale, 54 anni, laureato in ingegneria e docente di sistemi e automazione robotica all’istituto tecnico industriale Alessandro Volta di Pescara, per trovare la chiave di lettura delle yupane non ci ha messo neppure troppo: poco più di quaranta minuti, giusto il tempo necessario alla sorella per finire di cucinare il cenone di San Silvestro del 2000. Ben più lungo, tre anni, è stato invece il periodo necessario alla comunità scientifica internazionale perchè verificasse la validità della sua straordinaria intuizione. Finalmente, nei giorni scorsi all’apertura della mostra “Perù tremila anni di capolavori. Pitture, sculture, gioielli, arte erotica dalle origini all’Impero Inca”. Allestita a Palazzo Strozzi a Firenze, è stato ufficialmente annunciato al mondo che le yupane Inca non sono più un enigma.
“Il vero merito della scoperta va in realtà a mio nipote Mauro, dice il professor De Pasquale. E’ stato lui, infatti, a regalarmi per il Natale del 2000 un libro sulla storia della matematica. In quel libro erano descritti alcuni degli enigmi irrisolti della materia tra i quali quelle delle Yupane, le calcolatrici Incas.
Si tratta di vasche di pietra, scolpite sulla parte superiore in tante caselle geometriche all’interno delle quali sono stati ritrovati, messi in modo apparentemente casuale, fagioli, semi o sassolini bianchi.
La sera di Capodanno ero ospite con la mia famiglia a casa di mia sorella a Roma. Mentre mia moglie e mia sorella preparavano il cenone, io sfogliavo il libro regalatomi da mio nipote. Leggevo il capitolo dedicato alla matematica delle civiltà precolombiane, Inca, Maya, e Atzeca, un’immagine ha colpito la mia attenzione. Era la riproduzione di un manoscritto di Guaman Poma de Ayala un cronista che all’inizio del Diciassettesimo secolo seguì i conquistadores spagnoli in Perù. L’illustrazione raffigurava un dignitario Inca, che teneva tra le mani un quipus una serie di cordicelle, fissate a un nastro. Che gli Incas usavano come sistema di comunicazione. Le cordicelle del quipus venivano annodate e ogni modo indicava un numero o una parola. L’insieme delle cordicelle annodate costituiva un vero documento scritto. Finora nessuno è ancora riuscito a decifrare con precisione il linguaggio dei quipus.
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