La città nascosta?
Un italiano sapeva dov’era
Se Bingham scoprì Machu Picchu, lo si deve anche a un italiano. Antonio Raimondi.
Nato a Milano nel 1826, dopo aver partecipato ai moti del ‘48 riparò nella terra degli Inca.
Si dice che Raimondi fosse rimasto colpito dall’abbattimento di un gigantesco cactus di origine peruviana nel giardino zoologico di Milano: da allora decise di dedicare la sua vita allo studio di quella terra.
Adottato.
L’archeologo, botanico, zoologo, cartografo, etnografo e geologo. Raimondi attraversò il Perù in lungo e in largo, raccogliendo e catalogando insetti, piante e minerali. Schivo e dai modi semplici, divenne professore onorario e consulente scientifico del governo sudamericano.
Per di là.
Durante uno dei suoi viaggi raccolse le testimonianze degli indigeni sull’esistenza di Machu Picchu: l’italiano non provò mai ad avventurarsi fino al sito, ma nelle sue carte lo indicò con precisione. Seguendo le sue indicazioni, una spedizione francese mancò di un soffio la scoperta.
E anche Bingham fu aiutato dalle mappe di Raimondi. Morto nel 1890 a San Pedro, Lima gli ha dedicato nel 1891 un museo.
La città dimenticata
Machu Picchu, la città perduta degli Inca, è uno stupefacente sito archeologico situato in zona montana a 2.700 metri di altezza nella valle dell’Urubamba in Perù.
Si pensa che la città e le mura ciclopiche siano state costruite dall’imperatore Inca Pachacùtec intorno al 1440 e siano rimaste abitate (da 750 persone alla volta) fino alla conquista spagnola del 1532.
Machu Picchu (vecchia montagna)
La città perduta
I maestosi resti del regno degli Inca nascosti su un monte del Perù
Esiste un luogo in Perù dove la storia si unisce alla leggenda, il mistero del passato al fascino architettonico che il tempo non è riuscito a scalfire: è Machu Picchu, la quarta nuova meraviglia del mondo, soprannominata la "città perduta" degli Inca perché per secoli sembrava scomparsa nel nulla. Chi l'ha vista e ha camminato almeno una volta tra questi maestosi resti archeologici, in effetti non può che dare ragione ai cento milioni di partecipanti al sondaggio che l'hanno voluta inserire tra le sette bellezze create dagli uomini. Machu Picchu è la quarta tappa del nostro viaggio, dopo La Muraglia Cinese , Petra e il Cristo Redentore di Rio de Janeiro.
Nel referendum, infatti Machu Picchu si è classificata al quarto posto.
Qui ci troviamo di fronte a una città sospesa tra le nuvole, un vero gioiello architettonico costruito a duemilatrecentocinquanta metri di quota, attorno all'anno 1435, a metà strada tra l'altopiano andino e la giungla amazzonica, è rimasta nascosta oltre quattro secoli, cosa che ha fatto accrescere il mistero di Machu Picchu, il cui nome significa "vecchia montagna". Gli Inca, una delle famose civiltà precolombiane assieme ai Maya e agli Aztechi, scomparsi ormai da secoli, erano un popolo conquistatore, altamente civilizzato, cui si devono capolavori d'arte e città d'incredibile estensione e bellezza, che aveva saputo sempre più allargare i confini del proprio impero: una striscia sottile di territorio lunga quattromila chilometri sulla costa occidentale del Sudamerica, dove oggi vi sono Perù, l'Argentina nordoccidentale, un tratto di Ecuador, Bolivia e Cile.
Nel 1435, Pachacutec, il rivoluzionario imperatore degli Inca dal 1437 al 1471, decise che una parte del popolo avrebbe lasciato la capitale Cuzco per edificare un'altra città in posizione strategica, esattamente ai confini dell'impero, che grazie ai profondi dirupi che la circondavano fosse un baluardo per la difesa del suo regno e soprattutto il punto di partenza per andare a conquistare altri popoli. Una città segreta, tanto che pochissimi documenti ufficiali fanno riferimento a questo luogo sperduto nella giungla, proprio perché nessuno doveva sapere dove si studiavano i piani segreti dell'impero.
Fu abitata per circa un secolo
Non fu certo facile erigere in pochi anni centoquarantatre edifici, palazzo dopo palazzo, tempio dopo tempio: la vegetazione attorno era troppo fitta per consentire il passaggio dei carri contenenti il materiale edilizio. Pertanto ai confini delle città, fu scavata una cava e qui i blocchi di granito, che ancora adesso sono sparsi lungo l'area, venivano tagliati semplicemente con un martello di pietra e levigati con sabbia umida.
Il risultato erano blocchi perfetti, che potevano essere incastrati uno dentro l'altro come i tasselli di un puzzle, senza bisogno di cementarli con la malta, grazie ai quali si costruivano case simili ad autentici capolavori d'ingegneria. Anche i sistemi di sicurezza erano all'avanguardia: le porte della città e degli edifici più importanti avevano chiodi negli stipiti e negli anelli di pietra sull'architrave per rendere più difficoltoso, se non impossibile, il "lavoro" dei malintenzionati.
Per circa un secolo, Machu Picchu fu abitata, in prevalenza da sacerdoti e notabili dell'impero Inca che amavano questa città splendidamente decorata.
poi all'improvviso si svuotò, e il motivo è ancora oggi un mistero. Secondo alcuni studiosi, fu un'epidemia di vaioli a decimare, nei primi anni dl XVI secolo, i suoi mille "inquilini" prima dell'arrivo, nel 1532, dei "conquistadores" spagnoli, guidati da Francisco Pizarro; secondo altri, la città venne abbandonata ancora prima perché ormai aveva perso la sua funzione di avamposto dell'impero. fatto sta che nel giro di pochi anni, fu inghiottita per sempre dalla foresta. Poi. da quando, nel 1572, l 'ultimo imperatore Tupac Amaru venne ucciso dai colonizzatori spagnoli, gli Inca scomparvero definitivamente come popolo indipendente, e con loro, si perse pure la memoria di Machu Picchu.
Finì dimenticata sino al 1911
Ma un giorno la città perduta, come d'incanto, riapparve. Come se le nubi che spesso la sovrastano all'improvviso si fossero diradate, lasciando agli uomini la sorpresa di riscoprire un luogo ricco di storia e mistero.
Nel 1911, Hiram Bingham, uno storico appassionato di archeologia, docente della prestigiosa università degli Stati uniti di Yale, che nel 1906 stava esplorando le strade e le rotte commerciali degli Inca, salendo in cima al monte Picchu s'imbattè in alcuni grandiosi resti di edifici seminascosti nella ricca vegetazione. Chiese a due contadini che lì coltivavano la terra con le rispettive famiglie se sapevano di che cosa si trattasse, ma non seppero dirgli nulla. che luogo poteva mai essere? Chi poteva mai avere realizzato una città così maestosa e poi averla abbandonata? Bisognava scavare per scoprirlo, erano necessari finanziamenti difficili da reperire. Il governo peruviano però dette l'autorizzazione a Bingham e lui riuscì a racimolare i soldi facendo una colletta tra l'università, l'associazione americana di turismo culturale National Gegraphic, parenti e amici. E fu pronto a ripartire alla volta del Perù.
Ci vollero cinque anni di scavi prima di riportare alla luce e fare riemergere dalla giungla tutta la città perduta, e oggi ciò che vedono i quattrocentomila visitatori che ogni anno varcano la soglia di Machu Picchu continua a sorprendere, anche grazie agli studi del professor Bingham, che seppe ricostruire la struttura architettonica e soprattutto la vita sociale degli antichi abitanti.
Appena entrati, c'è il settore agricolo, che occupa l'intera parte sudorientale della città ed è costituto da terreni terrazzati dove un tempo si coltivavano mais e patate: qui è possibile visitare il posto di vigilanza, una piccola costruzione cui è stata rifatto il tipico tetto di erba delle Ande, situata in posizione panoramica e strategica, tanto che vi si possono scattare le foto più belle di Machu Picchu. e poi ecco la roccia funeraria a forma d'altare, con alcune gradinate laterali in cui venivano imbalsamati i defunti, e la Kallanka , o Recinto dei dieci Vani, un edificio che serviva come albergo e luogo di ristoro.
Ma il vanto di Machu Picchu è il settore urbano, ricavato sopra un'area scoscesa che gli Inca percorrevano salendo e scendendo oltre tremila scalini, e che, sotto le quattro piazze posizionate su diversi livelli, nasconde un sofisticato sistema di canali idraulici per il consumo umano e per l'irrigazione.
Il tempio del sole e la casa del re
Varcando l'Intipuncu, una splendida porta con doppio stipite, si accede a El Torreon, il Tempio del Sole, un luogo mistico semicircolare che fungeva da osservatorio astronomico e dove si svolgevano i riti per il culto di Inti, il Sole. Proprio di si può visitare il Gruppo del re, ovvero una "kancha", una casa per la famiglia numerosa del sovrano che poteva disporre, oltre che delle camere realizzate attorno a un patio e separate in zona giorno e zona notte, anche di uno studio, di un atelier e di un'enorme cucina dotata di una pietra per macinare il grano. La passeggiata nella città prosegue tra le case dei sacerdoti, templi di culto, orologi solari, fino ad arrivare alla parte orientale, concentra attorno alla piazza principale di Machu Picchu: qui è possibile ammirare le abitazioni degli artigiani, molto più semplici, con il tetto in legno ricoperto di paglia, e poi i magazzini e i mortai circolari, utilizzati per fabbricare tessuti e ceramiche.
La natura intorno è straordinaria
Tanto sono gli edifici che ancora adesso, a distanza di quasi seicento anni, colpiscono l'immaginazione e stupiscono i visitatori.
Uno dei complessi architettonici più enigmatici e affascinanti è il Tempio del condor: una sorta di labirinto dov'è nascosta una scultura con le sembianze del condor delle Ande, dal becco adunco, il tipico collare bianco e le grandi ali spiegate, come se stesse per spiccare il volo. Si tratta di un luogo sacro dedicato al culto di questo animale ma che era adibito anche a prigione: qui infatti, venivano rinchiusi e murati vivi i condannati a morte, in attesa di essere dilaniati proprio dal condor. Tutt'intorno c'è una sorte di paradiso terrestre, punteggiato da duecento specie di orchidee e abitato da più di trecento tipi di volatili, fra cui rapaci e colibrì, e di altri animali, molti in via di estinzione, dal puma al galletto delle rocce, dal gatto della montagna al cosiddetto orso con gli occhiali.
Tornando alla cronica storica, la scoperta di Machu Picchu fu accolta con clamore in tutto il mondo e portò ovunque fama e prestigio al professor Bingham, già noto in America per avere sposato una delle ereditiere di Tiffany, la rinomatissima gioielleria di New York. Negli Stati uniti diventò un eroe, tanto da essere eletto governatore dello Stato del Connecticut, e i suoi libri sulla città inca ritrovata per decenni continuarono ad essere esauriti.
Ma come si fa a raggiungere questa straordinaria "meraviglia del mondo".
Si deve anzitutto andare a Lima, la capitale del Perù, con un volo diretto da una delle principali città italiane, possibilmente tra giugno e ottobre, i mesi ideali perché in quella zona il clima è mite, con temperature che la sera scendono a dieci gradi, e senza quelle piogge torrenziali frequentissime da novembre ad aprile.
Da Lima, con un volo di un'ora, ci si trova nella cittadina di Cuzco, a tremilatrecento metri di quota, e da qui le possibilità di raggiungere la "città perduta" sono diverse: la più comune è arrivare ad Aguas Calientes che ha tutte le strutture alberghiere e turistiche per chi vuole restare a Machu Picchu qualche giorno, con il treno che attraversa la pampa peruviana, s'insinua nella stretta gola naturale di Pomatales, s'inerpica sul monte Picchu fino ad arrivare alla Valle sacra degli Inca.
I più avventurosi (e facoltosi) possono raggiungere il sito archeologico in elicottero, da Cuzco, in venticinque minuti da Agua Calenties: un'occasione per ammirare dall'alto lo spettacolo che offre l'area turistica, senza potere sorvolare Machu Picchu perché la legge peruviana non lo permette. I più sportivi, invece, seguiranno le strade dell'Inca, la rotta sudamericana più famosa di trekking, che in quattro giorni di cammino, non sempre agevole, porta a destinazione: un itinerario che attraversa ponti sospesi e boschi di eucalipto, costeggiando precipizi, consente di ripercorrere lo stesso cammino che l'antico popolo compiva per arrivare alla propria città. E quando finalmente si varcano le soglie di questa "meraviglia" si ha la sensazione di entrare nella leggenda.
Nel 1911 Hiram Bingham scoprì Machu Picchu, la città perduta
L’esploratore che sbaglio scoperta
Si convinse di aver trovato Vilcabamba, ultimo rifugio degli Inca
Innamorato degli Inca
Machu Picchu (Perù), 1911: la foto-ricordo di Hiram Bingham (a destra) al momento della scoperta. La spedizione, tra mille difficoltà, riuscì solo grazie alla passione dell’americano per la civiltà Inca.
Lui la vide così
Machu Picchu fotografata dall’archeologo americano poco dopo la scoperta. In un primo tempo Bingham, escluse, a ragione, che si trattasse della leggendaria Vilcabamba. Ma poi cambiò idea.
Il sergente e il ragazzino
Il sergente dell’esercito peruviano Carrasco posa per Bingham presso l’altare di Machu Picchu, insieme a un giovane indio.
I locali sapevano bene dell’esistenza delle rovine.
Gli Inca non conoscevano il ferro, ma erano maestri della pietra: il loro impero era percorso da 40 mila km di strade lastricate
Figlio ribelle. Nato nel 1875 a Honolulu, Bingham ruppe una tradizione di famiglia – quella religiosa – che durava da sei generazioni. Suo nonno era stato il primo predicatore protestante a varcare alle Hawaii e suo padre si era fatto un nome traducendo la Bibbia in gilbertese, la lingua delle isole Kiribati (Oceania).
Il giovane Hiram ricevette, e probabilmente digerì a stento, un’educazione intransigente e, appena poté, cambiò aria.
Iscrittosi all’Università di Yale, nel Connecticut, da dove la sua famiglia proveniva, arrivava a stento a fine mese, ma aveva carisma da vendere e frequentava compagnie di classe sociale più elevata. Nel ’98 si laureò in lettere, lavorando intanto come poteva: per quattro mesi s’improvvisò persino chimico dell’American sugar company.
Non era la sua strada. Chiassoso, talvolta sfacciato, Hiram voleva, pretendeva la notorietà. E, nel 1900,la sua vità cambiò: il 20 novembre sposò la bella e ricca ereditiera Alfreda Mitchell, una delle eredi dell’impero Tiffany (la storica gioielleria di New York). Per l’ex studente squattrinato fu un trampolino di lancio: nel 1905, all’età di 30 anni, si specializzò in Scienze politiche alla Harvard University, e Yale, “tempio” degli intellettuali nordamericani, gli aprì le porte. Adesso era il professor Bingham, docente di Storia dell’America latina.
“Vecchia cima”. Nel luglio del 1911 era a Cuzco, antica capitale degli Inca. Da lì, lungo il rio Urubamba, s’inoltrò nella selva. Bingham seguiva le strade che l’imperatore Manco Càpac II aveva scelto nel 1533 per sfuggire a Francisco Pizarro. Il tragitto era faticoso, il caldo torrido, la foresta una giostra di paura. Dopo circa una settimana, la carovana s’infilò in una spaccatura dove a malapena filtrava la luce del sole. Era tardi, la stanchezza fiaccava le gambe e gli americani decisero di accamparsi. Erano circondati da tracce e resti incaici. Un campeisino si avvicinò alle tende. Era poco più di un bambino.
Il ragazzo chiese cibo, forse denaro. In cambio, promise di rivelare il sentiero per giungere ad alcuni terrazzamenti celati tra le montagne, Bingham accettò lo scambio e, la mattina dopo, l’indio lo accompagnò sul posto. Il tragitto fu estenuante, bisognava attraversare un ponte sospeso e un temporale rese l’escursione ancora meno agevole. Hiram aveva il cuore in gola, sentiva di essere a un passo dalla meta. Giunto a destinazione, dovette aspettare che la nebbia si diradasse. A quel punto, l’archeologo si ritrovò all’attava meraviglia del mondo: nella cavità di un picco, a oltre 2.200 metri di altitudine, sorgeva una colossale città di granito. “Machu Oicchu” gli disse il campesino, la “Vecchia cima”. Il suo splendore mozzò il fiato a Bingham: «È incredibile. Sembra di sognare. Che cosa può mai essere questo luogo?». Già che cosa? Hiram non capiva: si aspettava il tesoro degli Inca; invece, aveva trovato solo costruzioni in pietra. Era ossessionato dal mito di Vilcabamba, non sapeva che cosa pensare. Scattò qualche fotografia, incaricò due assistenti di proseguire gli scavi e ripartì verso nord: Machu Picchu, ne era sicuro, non era la città che stava cercando.
Forse però… Bingham ripartì da zero. Raccolse gli indizi, studiò mappe e sentieri, tradusse antiche iscrizioni, interrogò decine di indios. Marciando per giorni, arrivò quasi alla foresta tropocale. Ma i risultati non venivano. Scoraggiato dalle testimonianze dei contadini, decise di fare rientro negli Usa. Gli servivano mesi per smaltire i dubbi e l’amarezza. Ma l’estate successiva, raccolti altri fondi, era di nuovo sulle Ande: solo allora si rese conto di ciò che aveva scoperto. La posizione, i giganteschi architravi, le terrazze, le piazze, le scalinate e le muraglie, finalmente ripulite dalla sterpaglia, gli fecero cambiare idea.
«Nessuna parte dell’altopiano del Perù» racconterà «e meglio difesa da barriere naturali: c’è uno stupendo canyon di roccia granitica, i cui precipizi sono spesso a picco per più di 300 metri e presentano difficoltà che intimidiscono i più ambiziosi alpinisti moderni». In più, ci sono le rapide dell’Urubamba «pericolose anche nella stagione secca e assolutamente inviolabili per almeno la metà dell’anno. Qui un popolo civilissimo, di grande sensibilità artistica, ricco di iniziativa e capace di sforzi prolungati, in un certo momento del lontano passato si è costruito un santuario per il culto del Sole. Il suo nome Machu Picchu, è stato accettato e continuerà a essere usato, anche se nessuno ora dubita che questa sia l’area dell’antica Vilcabamba».
La roccaforte. Naturalmente, Bingham si sbagliava. Machu Picchu, costruita verso la fine del XV secolo – abitata – pare da un migliaio di persone, non era Vilcabamba.
La città nascosta? Un italiano sapeva dov’era
Se Bingham scoprì Machu Picchu, lo si deve anche a un italiano, Antonio Raimondi. Nato a Milano nel 1826, dopo aver partecipato ai moti del ’48 riparò nella terra degli Inca. Si dice che Raimondi fosse rimasto colpito dall’abbattimento di un gigantesco cactus di origine peruviana nel giardino zoologico di Milano: allora decise di dedicare la sua vita allo studio di quella terra.
Adottato. Archeologo, botanico, zoologo, cartografo, etnografo e geologo, Raimondi attraversò il Perù in lungo e in largo, raccogliendo e catalogando insetti, piante e minerali. Schivo e dai modi semplici, divenne professore onorario e consulente scientifico del governo sudamericano.
Per di là. Durante uno dei suoi viaggi raccolse le testimonianze degli indigeni sull’esistenza di Machu Picchu: l’italiano non provò mai ad avventurarsi fino al sito, ma nelle sue carte lo indicò con precisione. Seguendo le sue indicazioni, una spedizione francese mancò di un soffio la scoperta. E anche Bingham fu aiutato dalla mappe di Raimondi. Morto nel 1890 a San Pedro, Lima gli ha dedicato nel 1981 un museo.
Le mummie bambine
I corpi mummificati di tre bambini (nella foto uno di loro) sacrificati agli dèi dagli Inca, riposavano a oltre 6.700 metri sulla vetta del Cerro Llullailaco, nelle Ande fra Cile e Argentina. Vestiti con abiti sontuosi e col volto sereno, furono probabilmente drogati prima di essere sepolti vivi.
Ambasciatori. Per gli Inca, sarebbero diventati i rappresentanti del popolo presso gli dèi, che li avrebbero accolti per l’eternità.
La città, a 2.280 metri , aveva più di cento edifici e 3.200 gradini scavati nella roccia
Che cosa fosse è ancora un mistero: «La sua collocazione» dice Laura Laurencich, docente di Civiltà indigene d’America all’Università di Bologna «ha fatto pensare a un luogo di difesa, a un avamposto militare, a un rifugio estremo. Ma sono ipotesi di gran lunga cadute. È più probabile, invece, che fosse una città sacra o, come ha sostenuto lo studioso americano John Rowe, la sua residenza estiva degi imperatori. La sua organizzazione era analoga a quella di altre città andine, ma alcuni ritrovamenti ne dimostrerebbero la grande valenza astronomica».
Invisibile dal basso, ignorata (loro malgrado) dagli spagnoli, la roccaforte era nota agli indigeni: un proprietario terriero di Cruzco, Agustin Lizàrraga, l’aveva già visitata nel 1902, ma quando tentò di farci ritorno venne travolto e ucciso dall’Urubamba. Bingham, secondo alcuni storici sudamericani, lo sapeva, ma preferì tacere e, forse, cancellò persino il nome di Lizàrraga da una roccia o dalla parete di un tempio. «Il merito di una scoperta va a colui che la rende pubblica: Bingham ne è stato portavoce scientifico» chiosa Laurencich.
Trionfo. L’impresa fece di Hiram un personaggio da prima pagina, quasi un eroe nazionale. La prestigiosa rivista National Geographic gli dedicò un intero numero e il suo nome dece il giro del mondo. Il fatto che nessun tesoro fosse stato rinvenuto insospettì alcuni studiosi ed esponenti politici peruviani, e Hiram temette addirittura l’arresto. Arruolatosi nell’aviazione durante la Grande Guerra , successivamente entrò in politica: nel 1923. Diventò governatore del Connecticut e nel 1925 senatore degli Satti Uniti. Rotto il matrimonio conb Alfreda, che intanto gli aveva dato 7 figli, si risposò nel 1937 e, chiusa la carriera plitica, fu per qualche tempo vicepresidente di una compagnia petrolifera. Per tutta la vita continuò a sostenere che Machu Picchu fosse Vilcabamba, convincendo molti. Morì a Washington nel 1956. Pochi anni più tardi, Vilcabamba fu identificata nella zona di Espiritu Pampa. Esattamente dove Bingham aveva immaginato che si trovasse, prima di imbattersi in Machu Picchu.
Tupac Amaru, l’ultimo imperatore inca
La strenua resistenza degli Inca contro i conquistadores durò quattro decenni, dal 1533 al 1572, anno in cui a Quito (oggi in Ecuador) fu decapitato Tupac Amaru, l’ultimo Inca. Figlio di Manco Càpac II, dalla roccaforte di Vilcabamba aveva tentato di difendere un impero antico di tre secoli. Morendo, entrò nel mito. Il suo nome fu ripreso dall’indigeno peruviano Josè Gabriel Condorcanqui, che guidò la rivolta antispagnola del 1780. e nel Xx secolo si ispirarono a lui diversi gruppi della guerriglia sudamericana, tra cui i Tupac Amaru che nel 1996-97 occuparono per quattro mesi l’ambasciata a Lima (Perù).
Culla d’oro. Secondo alcuni studiosi, i seguaci di Tupac Amaru fuggirono nella regione di Choquequirao, che in lingua quechua significa “Culla dell’oro”. Arroccata a 3.100 metri di quota, questa città santuario era nota agli europei fin dal 1768, ma fu riscoperta solo negli anni Ottanta. Due terzi dei suoi resti sono ancora avvolti nella vegetazione e gli archeologici sperano di riportarla interamente alla luce entro il 2012. Solo allora si capirà se fu davvero l’ultimo rifugio degli Inca.
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