
L’interno (scoperchiato) dell’abbazia di San Galgano (Si) presso cui è conservato una “spada nella roccia”.
LEGGENDA SENZA CONFINI
In una chiesetta medioevale posta sulla sommità della collina di Monte Siepi in Val Merse, nella splendida campagna tra Grosseto e Siena, racchiude un inatteso mistero: una spada infissa nella roccia che, diversamente della celebre Excalibur di re Artù, dopo tanti secoli di tentativi ancora nessuno è riuscito ad estrarre. La spada apparteneva, secondo la tradizione, ad un nobile cavaliere di nome Galgano Guidotti, nato intorno al 1148 a Chiusino, un paesino vicino a Monte Siepi ora celebre per il suo mulino bianco, da una famiglia agiata nella quale crebbe come “buono feroce e lascivo”, dedito ai combattimenti e alle gozzoviglie, a detta di una delle tante Leggende fiorite sul suo conto.
La conversione improvvisa, avvenuta intorno ai trent’anni, suona per questo ancor più straordinaria. Galgano vede in sogno san Michele, il suo protettore, che gli ordina di seguirlo.
Scavalcato un ponte strettissimo, i due si ritrovano in un giardino fiorito e lì, passando per una grotta buia sbucano al Monte Siepi, dove in una casa rotonda i 12 apostoli gli portano un libro aperto che egli non riesce a leggere essendo analfabeta.
Gli ordinano quindi di costruire in quel punto una chiesetta con la stessa forma circolare. Raccontato il sogno alla madre, che ne decifra i simboli comprendendo la predestinazione del figlio, Galgano sente l’urgenza di mettersi all’opera subito, anche se pieno inverno, e con il suo cavallo parte al galoppo per il luogo che gli è stato destinato. Sceso di sella sulla cima del Monte Siepi, il giovane cavaliere pianta la spada a mò di croce nel terreno per pregare, ma la roccia sottostante si fa molle come creta per accoglierla e poi serrarla in una morsa invincibile quasi fosse la Croce di Cristo piantata sulla roccia del Calvario e a lui non resta altro che gettarsi in ginocchio e lodare Dio.
Trasformato l’abito da cavaliere in un saio da monaco, rimase là come eremita fino a 33 anni, quando terminò la sua esistenza terrena già in odore di santità. Era il 30 novembre 1181, ma la sua festa fu spostata subito al 3 dicembre per non coincidere con quella di Sant’Andrea. Il culto non conobbe requie e nel XIII secolo monaci cistercensi edificarono nei pressi della chiesetta circolare una grandiosa abbazia, che oggi, senza più tetto e con il verde prato come pavimento, costituisce un unicum di rara suggestione, luogo perfetto per celebrare anche in pieno inverno il santo cavaliere, il cui nome sembra la versione popolare di Gargano, monte sul quale molti anni prima era apparso l’arcangelo dalla spada ardente, il princeps celestiae militiae.
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