venerdì 10 agosto 2012

SAN GENNARO

Mite intoccabile per tutti i napoletani, San Gennaro è una figura storicamente dubbia. E se fosse nato in Calabria?
‘ O Guappone
Devozione sconfinata
Il culto di San Gennaro non è limitato alla sola Napoli, in “questo quadro vivente” di un’antica processione molisana, tre bambini-angeli circondano un bimbo vestito come un santo.
Volto ingiallito
Il busto del santo in argento dorato fa parte, insieme alle donazioni raccolte nell’arco di sette secoli, del tesoro di San Gennaro. I fedeli lo portano in processione con le altre reliquie.
Per grazia ricevuta
La processione legata alla festa del patrono rievoca quella del 1906, che i fedeli ritengono  servì a fermare la lava del Vesuvio giunta vicino al comune di Trecase.  
Spettacolo colorato
La processione del santo è uno spettacolo di fede e folklore, con i venditori di statuine per le strade e una pioggia continua di petali di rose dai balconi delle case all’arrivo del patrono.  
Eroe di due mondi
Dal 1926 le celebrazioni per il festival di San Gennaro a Little Italy (New York) durano 11 giorni e ogni anno, attraggono in media 3 milioni di persone.  
Viva, viva San Gennaro
Nel corso della processione di San Gennaro i bambini devono essere vestiti di bianco, come richiesto dalla tradizione. Secondo i fedeli Gennaro è il santo più amato dai bambini.
Esistono ben 190 reliquie con sangue di santi e, di queste, 8 si sciolgono come quella di Gennaro.
Scritte molto eloquenti campeggiavano sui muri di Napoli quando il Concilio Vaticano II (1962-1965) retrocesse San Gennaro in “serie B”, cioè a Santo minore destinato al culto locale: (San Gennà futtetenne cioè “fregatene”), dicevano le scritte. Motivo del declassamento, caldeggiato da papa Paolo VI, la scarsità di notizie storiche su di lui e l’incertezza della Chiesa circa il miracolo che lo ha reso noto in tutto il mondo. Patrono della città partenopea e protagonista del famoso prodigio dello scioglimento del sangue rappreso contenuto nelle due ampolle-reliquario, san Gennaro, o meglio la sua statua, aveva troppe volte sfilato in processione per Spaccanapoli (la strada che divide in due la città), fra cascate di fiori e domande di grazia urlate a squarciagola dai balconi; per troppi anni nel Duomo di Napoli, a pochi metri dalla cappella dov’è custodito il suo tesoro (le offerte per tante grazie ricevute), la gente aveva sperato che il miracolo delle ampolle avvenisse ancora (prime fra tutti le cosiddette parenti del santo, da loro invocato come “santo nuosto”, “guappone”, “faccia 'ngialluta”). Insomma, troppo forte era il peso della tradizione perché la decisione del Concilio potesse ridimensionare il mito di san Gennaro. Da allora ad oggi, infatti, la situazione non è cambiata: il culto di san Gennaro - per i critici un santo come tanti altri, per i più scettici un personaggio addirittura inventato - continua senza preoccuparsi delle verifiche “scientifiche”. E nemmeno della posizione del Vaticano, che non ha mai riconosciuto il miracolo del sangue. Sorpresa. Ma era veramente san Gennaro? E quali sono le fonti storiche che ne provano la santità? Durante l’indagine condotta da Focus Extra c’è stato anche un colpo di scena: forse san Gennaro non nacque nel napoletano da una nobile famiglia (discendente della gens Jianuaria) come indica l’iscrizione a lato del busto d’argento nel Duomo, ma molto lontano da Napoli, in una povera borgata vicino a Reggio Calabria. Ma è necessaria una premessa: secondo una ricerca negli Acta Sanctorum (Atti dei Santi) effettuata nel 1926 dall’agiografo Antonio Bellucci, il san Gennaro martire furono ben 14, tre dei quali anche vescovi. Il primo risulta da un’iscrizione trovata a Cagliari. Il secondo è un san Gennaro vescovo di Cartagine, decapitato presso Potenza. E il terzo è quello di Napoli, definito “san Gennaro vescovo di Benevento e martire”.
Secondo la tradizione, quest’ultimo, in viaggio nel 305 verso Miseno (Na), si recò con i due religiosi a fare visita a un giovane diacono incarcerato in seguito alle persecuzioni anticristiane di Diocleziano. Ma venne imprigionato anch’egli e condannato a essere straziato dalle belve, che, però, davanti a lui si fermarono. Allora il giudice Dragonzio lo fece decapitare. Due fedeli raccolsero un po’ del suo sangue e lo conservarono in memoria.
Per la Chiesa, tuttavia, ufficialmente non esistono dettagli attendibili sulla sua vita. E la prova del suo martirio, che sarebbe avvenuto a Pozzuoli, vicino alla solfatara, risulta piuttosto modesta: una pietra marmorea là conservata dai Cappuccini, sopra la quale, si dice, il santo venne decapitato e che cambierebbe leggermente colore in contemporanea con la liquefazione del sangue nel Duomo di Napoli. Ma le ricerche storiche hanno mostrato che, per quello scopo e a quei tempi, non usavano oggetti di quel genere: inoltre la lavorazione di quel tipo di marmo iniziò solo alcuni secolo dopo la presunta esecuzione.
Scordato. San Gennaro, dopo la morte, restò per lungo tempo dimenticato e diventò improvvisamente noto solo intorno al 1337, quando l’arcivescovo di Napoli, Giovanni III Orsini, istituì una cerimonia in suo onore, senza però riferirsi ai miracoli. È dal 1389 la prima notizia documentata di liquefazione del sangue, che diede vita al suo mito. Alcune fonti parlano invece di spostamenti e traslazioni delle sue spoglie: nell’831, quando il duca longobardo Sicone ne avrebbe riportato i resti a Benevento, e nel 1156, quando furono ancora trasferite e murate nell’altare maggiore del santuario di Montevergine. Poi se ne perse il ricordo per tre secoli finché, nel 1480, i resti del santo riapparvero durante i lavori di restauro. Infine, nel 1492, furono portati nel Duomo di Napoli. A parte quello dell’831, gli altri trasferimenti sono ben documentati da iscrizioni e cronache dell’epoca. Ma resta il vuoto dei primi 500 anni dopo la sua morte: non pochi, per sostenere che vi sia un collegamento fra un personaggio storicamente esistito e il suo culto come santo. Inoltre, la circostanza che san Gennaro divenne noto solo nel XIV secolo è quantomeno sospetta; si tratta proprio del periodo in cui si usava fabbricare false reliquie di tutti i generi: fedi nuziali della Madonna, fasce di Gesù bambino, piume dell’arcangelo Gabriele, teste di Giovanni Battista e così via. Il sospetto è che il contenuto delle ampolle di San Gennaro sia il prodotto di queste contraffazioni, realizzato con una sostanza simile al sangue che per molti secoli ha tradito la buona fede di prelati e credenti.
Origini calabresi. Sulla realtà storica del santo giocano però a favore nuovi elementi. Lo storici reggino Bruno Polimeni, in un resoconto apparso sulla rivista culturale calabrese La Città del Sole, ha avanzato l’ipotesi – tradizioni locali e documenti alla mano – che san Gennaro martire (quello giusto) fosse nato in un borgo che sorgeva alle pendici del monte Poro, presso l’odierno comune di Joppolo (Vibo Valentia), molto lontano quindi da Napoli. La pista seguita da Polimeno prende le mosse dagli scritti dell’etnologo Raffaele Corso (1883-1965), che registrò la forte venerazione per san Gennaro di quel piccolo paese della Calabria. «Venerazione che abbiamo ancora oggi» assicura Carmelo Mazza, vicesindaco di Joppolo. Anche qui, il 19 settembre, si celebra san Gennaro; e moltissimi abitanti portano il suo nome.
Ma, soprattutto, nella frazione di Caroniti (800 abitanti) c’è un’antica chiesa dedicata al santo, all’interno della quale si trova una statua con un’epigrafe che lo ricorda.   
La chiesa fu costruita nel 1570 vicino al preesistente sito di Calafatoni, borgo di pastori all’epoca già disabitato ma in cui san Gennaro sarebbe nato, e dove in suo onore era stata eretta una prima chiesa. I resti visibili? Un muretto di pietre calcinate lungo 3 metri e alto 1, dove fu poi costruita un’edicola dedicata al santo.
Sui documenti. La tradizione viene confermata sia dalle note di Tommaso Aceti all’opera De antiquitate et situ Calabriae, in cui si riferiva che in quel luogo nacque san Gennaro e vi era una sua chiesa, sia nelle Memorie di Luigi Sorace, canonico di Nicotera (nella cui diocesi Calafatoni rientrava), che aveva consultato gli archivi vescovili. Fino a quando Caroniti-Calafatoni rimase in tale diocesi (dal ‘500 al ‘700) i magistrati scrivevano nei documenti ufficiali e nei passaporti: “Per grazia di Dio e per intercessione di san Gennaro vescovo e martire, nostro concittadino”. E i Vescovi di Nicotera erano soliti firmarsi “Vescovo di Nicotera e concittadino di Gennaro, vescovo e martire”.
«Nel 1650, il vescovo di Pozzuoli» spiega Polimeni «mostrò al suo omologo di Nicotera, Centoflorenio, un documento molto antico secondo il quale la nascita di san Gennaro era avvenuta a Calafatoni. E anche un antico martirologio (volume che riporta i nomi dei martiri e dei santi), in possesso a un vescovo greco, diceva la stessa cosa».
«Questo sarebbe stato sufficiente a dimostrare che san Gennaro, quello giusto, è veramente esistito» commenta Bruno Sodaro, direttore del Santuario di Torre Ruggiero (Cs) e studioso di san Gennaro, Sodaro infatti giudica inverosimile che san Gennaro martire sia un altro Gennaro, come sostenne, nel 1926, Bellucci.
Ex porcaro. Resta però il fatto che anche questa ricostruzione calabrese non risolve il problema dei molti secoli in cui il santo fu ignorato. La tradizione locale di Joppolo afferma che Gennaro da piccolo era un guardiano di porci e fu preso da un maestro di fede che lo educò alla cristianità, per poi divenire vescovo di Benevento. Il che non toglierebbe nulla ai napoletani, dato che altri patroni come san’Antonio a Padova san’Ambrogio a Milano o san Nicola a Bari non nacquero nelle rispettive città. Ma l’ipotesi delle origini calabresi di san Gennaro andrebbe verificata da scavi archeologici, che confermino che i ruderi di Calafatoni risalgono davvero ai primi secoli dopo Cristo.
Diverse reliquie venerate dai fedeli cattolici riguardano resti di sangue di santi e martiri. Una classificazione del 1951 ne elencava in Italia ben 190, particolarmente a Napoli. La più celebre è una doppia ampolla contenente una sostanza scura, sconosciuta, considerata il sangue di San Gennaro. Le prime notizie di essa risalgono al 1389, cioè oltre mille anni dopo la presunta morte del santo. La sua peculiarità sta nel fatto che il liquido in essa contenuto si liquefa una o due volte l’anno, quando la reliquia è estratta dalla cassaforte ove è normalmente custodita e portata sull’altare.
Scossoni. Nel 1991, un’équipe guidata dal chimico Luigi Garlaschelli ha ipotizzato che il fenomeno potesse essere dovuto alla tissotropia, un meccanismo naturale per cui certe sostranze liquefano quando vengono agitate e scosse e tornano solide quando sono lasciate a riposo. Il caso che talvolta la liquefazione non avvenga si spiegherebbe col fatto che, se la reliquia è maneggiata con delicatezza, non subisce sufficienti sollecitazioni meccaniche. La vicenda è tutt’ora aperta, perché la Curia di Napoli non ha ancora concesso il permesso di verificare che cosa ci sia esattamente nelle due ampolle.

 

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