Santa Elisabetta d’Ungheria, nata nel 1207, figlia del re Andrea di Ungheria ha raggiunto la santità di vita in pochissimo tempo.
All’età di 4 anni dovette lasciare la sua casa per vivere nella casa del suo futuro sposo il re Ludovico IV, e sposarlo all’età di 14 anni, un matrimonio combinato, come avveniva, tra le case dei regnanti d’Europa di quel tempo.
A vent’anni rimase vedova con tre figli.
Nonostante la brevità del matrimonio, e il fatto che sia stato combinato dai genitori fu tuttavia un matrimonio felice sotto ogni aspetto.
Alla morte del marito, si ritirò in una modesta casa di Marburgo, dove eresse a proprie spese un ospedale per ospitare soprattutto i poveri.
Questo fece scatenare contro di lei le ire e i malumori dei cognati che non sopportavano bene la sua generosità verso i poveri.
Fu allontanata così dalla famiglia e le furono tolti i figli, e lei accettò e visse tutto questo come una forma di povertà.
Elisabetta d’Ungheria è la figura femminile che più genuinamente incarna lo spirito penitenziale di Francesco.
Si è discusso se fu o no terziaria francescana.
Dobbiamo puntualizzare che al tempo di Elisabetta non si usava ancora il termine “terziaria”. Ma c’erano numerosi penitenti; molti uomini e donne del popolo seguivano la via penitenziale indicata da san Francesco e diffusa dai suoi frati.
I frati minori arrivarono ad Eisenach, la capitale della Turingia, alla fine del 1224 o agli inizi del 1225.
Elisabetta entrò a far parte di questi penitenti francescani, obbediente alle direttive di un rigoroso confessore.
Alla sua morte avvenuta nel 1231, fu proclamata santa a gran voce di popolo, al punto che il Papa Gregorio IX nel 1235, a quattro anni dalla morte, la iscrisse ufficialmente nel libro dei Santi.
Una breve vita, 24 anni, ma intensa e ricca di amore per i poveri.
La santità per manifestarsi non ha bisogno di tanti anni, molte Sante hanno avuto una vita breve: Elisabetta 24 anni, Santa Teresa di Gesù Bambino 24 anni, Santa Bertilla 34 anni, l’importante è che qualcuno faccia con amore quello che gli è chiesto, giorno dopo giorno, percorrendo tutta la strada lunga o breve che sia.
Non possiamo presentarci al traguardo saltando pezzi di strada. Allora con i segni della sofferenza, i segni del dolore, ci presenteremo davanti a Dio il quale ci accoglierà e ci introdurrà per sempre nella pienezza della vita.
Ciò che contraddistinse Elisabetta fu proprio la capacità di amare.
La sua sapienza, la sua saggezza stanno nel vivere intensamente ogni evento della sua vita, silenziosamente come donna saggia, del libro del Siracide.
Accettò senza ribellioni, ma non senza dolore, la sua storia, avendo come punto di riferimento i poveri, spendendo per loro tutte le sue forze. Dopo la morte del marito le avevano tolto tutto, ma non il desiderio di servire Dio nei fratelli bisognosi, e così sentirsi dire un giorno “vieni benedetta del Padre mio, perché avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere”. Il Signore sa riconoscere il grido dei poveri, ma sa riconoscere anche la voce e il volto di chi lo serve con amore.
Al Signore non è necessario molto tempo per riconoscere quelli che lo amano, anche chi dà un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, sarà ricordato e amato da lui.
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